«A ve dighe che ‘l ha gran cuore chi se mete a muzare»
Angelo Beolco, noto come il Ruzante, dal nome del personaggio principale di alcune sue commedie, nacque a Padova intorno al 1500. Alla morte del padre, un medico e ricco proprietario terriero, egli si trovò ad amministrarne le terre; in questo stesso periodo strinse amicizia con Alvise Cornaro, ricco proprietario terriero e umanista. Proprio nella casa del Cornaro, Beolco rappresentò le commedie composte in quel periodo. Inoltre, sembra che il commediografo abbia derivato la scenografia per questi spettacoli da una serie di conversazioni avute con Ariosto, con il quale allestì alcuni spettacoli teatrali a Ferrara.
Intorno al 1520 Beolco fondò anche una delle prime compagnie teatrali, che operò a Venezia, Ferrara e Padova; in queste occasioni ebbe modo di entrare in contatto con intellettuali del calibro di Pietro Bembo e Sperone Speroni, frequentando anche gli ambienti accademici di Padova. Angelo Beolco morì nel 1542, mentre stava curando l’allestimento della tragedia Canace, opera di Sperone Speroni.
Tra le opere del commediografo meritano un cenno particolare due dialoghi, scritti tra il 1527 e il 1531, Il Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo e il Bilora. Nel primo viene descritta l’infelice condizione di un reduce di guerra, Ruzante, che, tornato a casa, è abbandonato dalla moglie; vicenda simile si ritrova anche nel Bilora, dove l’omonimo contadino cerca di riprendersi la moglie che l’ha tradito. In entrambe le opere emergono nuclei tematici quali il contrasto tra città e campagna e la naturalità dei due villani; Ruzante e Bilora cercano infatti di affermare i propri valori, sinceri e naturali, opponendosi alla falsità del mondo che li circonda.
Alcuni elementi, come il rovesciamento dei valori e delle gerarchie tradizionali, denotano la presenza di tradizioni popolari e carnevalesche; tuttavia, se per certi versi Beolco sembra inserirsi all’interno della tradizione letteraria della satira del contadino, in realtà egli opera un rovesciamento adottando il punto di vista del contadino stesso. In tal modo, la rappresentazione delle drammatiche condizioni in cui vive questo ceto trasforma le opere del Beolco in strumenti di polemica sociale.
Pertanto, se le commedie sono frutto di una raffinata cultura, esse presentano una rielaborazione, e talvolta uno stravolgimento, delle istanze del teatro classico. Infatti, il Ruzante fece propri i meccanismi della commedia del Cinquecento, come l’interesse riservato all’intreccio della vicenda e al gioco degli equivoci; tuttavia, egli introdusse una vena polemica nelle proprie opere, denunciando la miseria che attanagliava i ceti subalterni. Anche l’impiego del dialetto è volto in questa direzione, come dimostra un’altra opera, la Moscheta, che ha nuovamente come protagonista il villano Ruzante. In questa vicenda la polemica è rivolta contro il fiorentino, una lingua fina e “alta”, impiegata per ribadire l’inferiorità del mondo contadino.
Sebbene per un certo periodo Beolco sia stato considerato uno scrittore “irregolare” e “scapigliato”, recentemente è stata messa in evidenza la sua educazione letteraria; in quest’ottica, la scelta di impiegare il dialetto è da ricondurre anche alle esperienze goliardiche, molto presenti nell’area veneta. Inoltre, la vis comica delle sue opere è dovuta in gran parte alla presenza di un pervasivo realismo espressivo.