“Morire è un mestiere difficile” è uno spaccato doloroso ma non disperato dell’inferno quotidiano che si vive nell’odierna Siria.
Il libro di Khaled Khalifa si apre con un lutto: per onorare la promessa fatta a suo padre sul letto di morte, Bolbol porta il corpo del vecchio dalla città di Damasco alla sua città natale di Anabiya, vicino Aleppo. Lo seppellirà accanto a sua sorella, come voleva lui: non dovrebbe volerci tanto.
Il viaggio su strada normalmente richiederebbe non molto più di tre ore (sono solo 400km) ma nella Siria devastata dalla guerra ci vorranno giorni e giorni.
Damasco e Aleppo sono agli antipodi politici: una in mano ad Assad e al suo regime, l’altra rifugio e roccaforte dei ribelli al regime siriano.
Lungo la strada, chi legge il libro viaggerà anche attraverso le storie e i traumi della famiglia di Bulbul, mentre fuori dal finestrino si snoda una surreale via crucis.
Il libro di Khaled Khalifa sembra la versione siriana di un capolavoro sottovalutato (almeno in Italia) di William Faulkner: “Mentre morivo”. Anche nel libro del Premio Nobel per la Letteratura 1949 tutto ruota intorno al viaggio verso una sepoltura e al racconto di una famiglia, i Bundren, fatto dai suoi stessi membri.
Anche lì la vita viene raccontata senza infingimenti, con una particolare distanza non si sa quanto dettata dall’istinto di sopravvivenza e quanto dal disincanto. La vita così cruda, la morte così cruda che accadono davanti agli occhi dei protagonisti non perdono neanche un grammo di surrealtà. Sono una infinita serie di atti unici che mettono in scena un dramma.
Ancora di più, i chilometri di carta percorsi da Khaled Khalifa cantano gli archetipi di un mistero che non si può conoscere.
“Morire è un mestiere difficile” è un intenso viaggio che attraversa due conflitti. Uno è tra quelli più miserabili del nostro tempo, e sventra da anni la Siria.