Lo scrittore Aldous Huxley seppe di avere il cancro verso la fine del 1960, e da allora per la verità cominciò a star male. Anzi, peggio. Dal suo letto di morte, ormai consumato dalla malattia, Aldous chiese a sua moglie Laura di rendere i suoi ultimi giorni più lievi dandogli dell’LSD. Lei accettò.
La lettera che segue è stata scritta da Laura a pochi giorni dalla morte di suo marito, e racconta dei suoi ultimi istanti.
Los Angeles, California
8 Dicembre 1963
Carissimi Julian e Juliette,
Ci sono molte cose che vorrei dirvi sull’ultima settimana di Aldous, in particolare sull’ultimo giorno: quanto accaduto è importante non solo per noi che lo amiamo, ma per tutti.
Prima di tutto voglio confermarvi con assoluta certezza che Aldous fino all’ultimo istante non ha mai pensato di dover morire: potrete rendervene conto dalle sue stesse parole, poichè ne ho registrate tante dal 15 al 22 Novembre. Era troppo stanco per parlare, e così dettava le sue note su un registratore.
Dettava, e nei pochi momenti di serenità prima del sonno ascoltava ciò che aveva impresso. Era fermamente intenzionato a comprarne uno più piccolo e comodo quando fosse stato meglio, ma non ne ha avuto modo: in ogni caso, Aldous ha registrato un pò di spunti e idee ogni giorno, per poter scrivere racconti in futuro.
E’ stato un periodo di grande creatività: ha chiesto di diminuire gradualmente i sedativi a base di Torazina che nell’ultimo periodo prendeva fino a 4 volte al giorno. Verso la fine prendeva solo qualcosa per la nausea, e faceva qualche iniezione di morfina che gli procurava grandi e colorati sogni, dei quali troverete traccia nei nastri.
Vi dico questo: nei sogni come nelle sue conversazioni sembra quasi di capire che, almeno inconsciamente, Aldous sapeva di essere sul punto di morire. Lui però non ne ha mai fatto parola, e sono certa che non ci pensasse dato che è, era totalmente incapace di mentire. Me lo avrebbe detto, semplicemente. Non lo ha fatto; Spesso, al contrario, ha usato frasi come “quando sarò fuori di qui”, in relazione a idee e progetti che avrebbe voluto intraprendere nonappena le forze e la salute fossero tornate a sorreggerlo. La sua mente è stata sempre in perfetta attività.
La sera prima di morire (Martedì), verso le 20, un’idea lo ha come folgorato. “Cara,” mi ha detto, “ho imposto a Jinny e ai due bambini la presenza in casa di una persona tanto magra quanto malata: sono stato aggressivo e ingiusto.” Jinny era fuori in quel momento. Gli dissi “Bene, quando tornerà a casa glielo dirò. Si farà una grande risata.”
“No,” fece allora con insistenza, “dobbiamo fare assolutamente qualcosa!”.
“Ok,” feci scherzando, “allora buttati giù da questo letto e andiamo a fare un viaggio, leviamoci dai piedi”. Lui non aveva voglia di scherzare e fu limpido come non mai: “Sul serio,” disse, “prendiamo un appartamento per conto nostro. Solo per questo periodo.”
Pensava che sarebbe stato malato per altre 3 o 4 settimane, e poi sarebbe tornato alla sua normale vita. Questa idea è stata ricorrente nell’ultimo periodo, e Martedì l’ha espressa con particolare energia: subito dopo, però, ha perso anche le poche forze che gli restavano. Inutile dire che non mangiava più nulla. Riusciva a mandare giù solo qualche cucchiaio di purè, e subito iniziava a tossire.Un’ora dopo ho chiamato il Dr. Bernstein: Aldous aveva la febbre alta, e la pressione a 140, e si agitava disperatamente. Pareva arrivato il momento. Il dottore ha deciso di somministrargli una lenta e forte dose introvenosa di Dilaudid, per consentirgli di respirare meglio e dilatare i suoi bronchi.
E’ stato terribile. Ha iniziato a parlare con difficoltà chiedendo di essere mosso di continuo, perchè non sentiva più gli arti.
“Per favore, muovi le mie gambe,” diceva, “muovi le mie mani”,”muovi il letto”. Ogni volta ne ricavava un pò di sollievo, ma sempre meno. D’un tratto, verso le 22:00, ha chiesto con difficoltà un quaderno ed una penna, e per la prima volta dopo tanto tempo ha iniziato a scrivere.
“Se muoio,” ha iniziato a scrivere, ed erano le sue ultime volontà. Non capivamo tutto ciò che scriveva: il dottore cercava di capire, ed anche io facevo i miei sforzi migliori: alla fine ha scritto di voler trasferire la sua polizza sulla vita a Matthew. Poi ha detto molte volte “voglio scrivere una lettera ai ragazzi, a Juliette, il suo libro è adorabile”.
“Se muoio”. E’ stata la prima volta che ha parlato di morire.
Ho chiamato Sidney Cohen, uno psichiatra che ha realizzato molti studi sull’LSD. Gli ho chiesto se poteva servire dare ad Aldous una dose di quella droga: mi ha risposto di averla somministrata a malati terminali solo in due casi, ottenendo risultati vaghi e poco apprezzabili.
Le sue condizioni continuavano a peggiorare: ad un certo punto ha detto qualcosa che nessuno è stato in grado di decifrare. Qualcosa del tipo “Chi sta mangiando fuori dal mio piatto?”. Gli ho detto che non ne sapevo nulla, che non sapevo di cosa parlasse, e lui me lo ha chiesto di nuovo. Subito dopo mi ha fatto un sorriso che non dimenticherò mai, e mi ha detto “non ci pensare, è solo uno scherzo”.
E poi, improvvisamente, “C’è ancora così poco da dirsi…”.
Ho capito in quell’istante che se ne stava andando per sempre.
Ho realizzato tutto con chiarezza in pochi istanti, tutto mi è passato davanti agli occhi: i nostri ultimi due mesi insieme, le poesie e le note dettate al registratore. Tutto stava per finire. Andai solo per qualche secondo nell’altra stanza, la Tv aveva appena annunciato l’attentato al Presidente Kennedy. Tornai e decisi di dargli una dose di LSD. Il dottore mi confortò: “a questo punto non è più un problema,” disse.
Non lo sarebbe stato neppure per me: non avrei più cambiato idea, nemmeno con la forza.
I primi 100 microgrammi sono scivolati nelle sue vene intorno alle 23:00. Mi sono avvicinata a lui e gli ho detto dolcemente “Caro, forse tra un pò potrai portarmi con te. Vuoi che venga insieme a te?“. E lui, parlando pianissimo, mi ha detto di sì. “Vuoi che porti anche Matthew, e Jinny, e i ragazzi?,” e lui ancora “sì”. Poi la calma più assoluta.
C’era una gigantesca espressione di sollievo sul suo viso, e forse il mio aveva lo stesso sorriso: entrambi stavamo accettando quella partenza.
Dopo un’altra mezz’ora il suo aspetto ha iniziato a cambiare, e gli ho chiesto se sentisse ancora gli effetti dell’LSD. Mi ha indicato di no con le dita, ma subito dopo ha ripreso quell’espresione di immensa gioia e gratitudine: forse non era più il caso, ma ho deciso di dargli altri 100 microgrammi.
Ho iniziato a parlargli, come tante volte ho fatto nelle ultime notti per farlo addormentare come un bambino. “Leggero e libero. Vai amore mio; avanti e in alto. Vai attraverso la luce amore mio, continua con sicurezza e calma, stai facendo un cammino meraviglioso nella gioia. E’ facile, e così bello. Avanti e in alto. Stai attraversando una grande luce, un grande amore, e lo stai facendo meravigliosamente…”
Continuavo così, come in una litanìa, erano le 2:00 o le 3:00, non ho più guardato l’ora. Di là c’erano Jinny, Thomas e le culle con i bambini. Ero accostato al suo orecchio, e gli ho sussurrato “mi senti ancora?”. Avrei potuto chiedergli altro, ma non ho voluto.
La sua mano si è mossa, ed io ho iniziato a piangere in silenzio, allontanandomi dal letto per non farmi sentire. Sono ritornata da lui dopo qualche minuto, e ho ricominciato a sussurrargli “vai avanti e in alto, leggero e libero amore mio,” e il suo respiro si faceva sempre più leggero, più sottile e leggero, finchè non ha smesso di respirare. Erano le 5:20.
I dottori mi avevano avvertito di prepararmi a reazioni fisiche spaventose e dolorose, ma nulla di tutto questo è successo. Aldous ha smesso di respirare così lentamente e con serenità da sembrare un dolce soffio di musica che si cala piano nella quiete del silenzio, dopo aver fatto milioni di volte quel gesto così naturale in tutti i 69 anni della sua vita. Il suo spirito non è volato via di colpo, ma ha lasciato con gentilezza la sua casa.
E’ stata la più bella, la più serena morte cui io abbia mai assistito. E’ un vero miracolo che una persona in condizioni simili sia andata via senza dolore e sofferenza.
Ora, dopo qualche giorno in cui ho dovuto fare i conti anche con il mio dolore, tutto mi è più chiaro: Aldous ha passato le ultime settimane a dolersi del fatto che “L’Isola“, il suo ultimo libro, non fosse stato preso sul serio. Non era un solo prodotto della fantasia, ma era il sogno di una persona che desiderava vivere e morire con leggerezza. Se la gente sapesse come è morto, forse inizierebbe a pensare che anche altre cose descritte ne “L’Isola” possono avverarsi. Vostro padre ha sconfitto l’ignoranza prima che l’ignoranza sconfiggesse lui.
Un bacio,
Laura.