Data la sua particolare posizione all’interno del panorama letterario nostrano, Clemente Rebora (Milano, 1885 – Stresa, 1957) è stato da sempre considerato un personaggio piuttosto alternativo ai consueti schemi biografico-poetici in senso ampio: in particolare, la sua vicenda umana ne conserva la chiave di sviluppo.
Di formazione civile laica e positivistica, iniziò ben presto ad avvertire la contraddizione interna e l’insoddisfazione per le insufficienti risposte che questo tipo di approccio estremamente ideologizzato poneva. Fu così che Rebora crebbe sotto il segno di una “cupe problematica esistenziale” (parole del fratello Piero), oscillando in continuazione tra una solida fiducia nell’operato dell’uomo e nelle sue capacità di ritrovare le risposte adatte alla propria condizione spirituale da un lato; e la sempre crescente consapevolezza del limite insito nella natura stessa dei suoi simili (non escludendo se stesso, naturalmente), dall’altro.
Questo contrasto, acuitosi nel tempo, è palese nel costante confronto non proprio pacifico tra città e campagna; risulta infatti onnipresente all’interno della sua produzione e fortemente caratterizzante per quanto concerne l’aspetto strettamente stilistico delle opere da lui prodotte nel tempo.
Rebora si dedicò inizialmente all’insegnamento, pubblicando nel 1913 i Frammenti lirici; successivamente partecipò alla prima guerra mondiale per poi giungere, dopo un intenso e travagliato percorso interiore, ad abbracciare la fede cristiana. La risultante derivata dalle sue scelte non fu però casuale, dato che egli si documentò studiando i testi ascetici e religiosi delle più disparate confessioni religiose: alla fine venne ordinato sacerdote nel 1936, divenendo simbolo esemplare della lotta interiore contro i dubbi dell’uomo, nonché di quella esteriore e quotidiana dello scenario storico all’interno del quale si trovava inevitabilmente coinvolto.
Come abbiamo accennato poco più su, non bisogna aspettarsi dalla poetica di Rebora un mero esercizio letterario, dato che essa è la trascrizione stessa della sua ricerca personale della verità. Quest’ultima è legata da una parte alla sua vicenda biografica, dall’altra è mossa invece dal bisogno fisiologico (e tutto umano) del bisogno di certezze:
Urge una scelta tremenda / dire sì, dire no / a qualcosa che so.
Per questi stessi motivi non bisogna sorprendersi se si ritrovino una serie di immagini e di scelte stilistiche improntate alla leggera spigolosità: questa forma altro non è che lo specchio di un cristallino rigore, esso stesso parte costituente della ricerca letteraria dell’autore.
La giustificazione di vivere, il senso stesso dello stare al mondo, sono assurti a bisogno primario ed unico verbo da seguire; di conseguenza la parola viene piegata al servizio di tale sofferta ricerca. La tensione espressiva è così risultante naturale e necessaria dello stile, tanto da collocare Rebora “tra le personalità più rilevanti del panorama espressionistico europeo” (G. Contini).