“La cultura è un ornamento nella buona sorte ma un rifugio nell’avversa.” (Aristotele)
Quante volte abbiamo sentito dire che un Paese come l’Italia dovrebbe vivere di cultura? Lo abbiamo sentito così tante volte che ci siamo anche stancati. Eppure sembra che, nonostante ci siano stati diversi ricambi, assolutamente fatti sempre e solo dalle stesse persone, nella testa di chi ci governa questo semplice concetto non sia ancora entrato oppure che sia entrato dalla porta e uscito dalla finestra. Se la testa di chi ci governa, poi, è a forma di Colosseo, evidentemente, sono parole al vento. E poi ci si lamenta anche se sponsorizzazioni private e fondazioni bancarie vogliono partecipare a restauri o ad iniziative culturali! State tranquilli, cari governanti e cari italiani, questi interventi ed erogazioni dal 2008 si sono ridotti rispettivamente del 38% e del 40,5%.
Lo scorso 20 gennaio 2014, alla Camera dei Deputati, alla presenza della Presidente on. Laura Boldrini, è stato presentato il Rapporto Annuale Federculture 2013 “Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese” che ha messo in evidenza alcuni fatti importanti:
57 italiani su cento non leggono nemmeno un libro l’anno cioè sono diminuti del 3% i lettori di libri rispetto al 2012
39 italiani su cento non hanno partecipato a nessuna attività culturale durante l’anno cioè sono aumentati del 3,7% gli italiani che hanno rinuciato alla cultura fuori casa (mostre, cinema, teatro, concerti).
L’indice di partecipazione culturale nazionale dell’Italia, secondo Eurobarometro, è pari all’8%, contro una media europoea del 18%. In cima alla classifica si colloca la Svezia (che ha uno sterminato patrimonio artistico-culturale, vero?) con il 43% dei cittadini che assiduamente prendono parte ad attività culturali.
In sintesi: si legge meno, si visitano meno mostre, si va meno a teatro, ad assistere ai concerti ecc. e si scivola, anche per quello che riguarda la cultura che dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello, nonché strumento economico, in fondo all’ennesima classifica europea. Nella classifica degli ultimi, però, non ci smentiamo mai: siamo sempre i primi!
A questa riduzione dei consumi culturali corrisponde anche una riduzione, l’ennesima ormai da anni, degli investimenti pubblici in cultura e si prevede un’ulteriore riduzione del budget del Mibact nel triennio 2014-2016 anche a seguito dell’assorbimento della competenza Turismo che, fino ad un po’ di tempo fa, e con cognizione di causa, costituiva ministero a sé.
Come per dire: se voi non comprate libri e non andate alle mostre, io Stato anziché darvi la possibilità di andarci e attirare perfino flussi turistici dall’estero, riduco i miei investimenti, do meno risorse agli Enti locali e alle aziende culturali ad essi collegate (i Comuni, ad esempio, hanno tagliato tra 2010 e 2011 dell’11% gli investimenti annuali nelle politiche culturali), inserisco norme che ne riducono la capacità d’intervento e ne limitano l’autonomia gestionale.
Una ricetta tutta italiana. Sì, per il fallimento. Questo perché al Governo, alla Camera e al Mibact sono tutti laureati in beni culturali, economia e scienze turistiche, suppongo.
Hai voglia il presidente di Federculture, Roberto Grossi, a lanciare l’allarme: “Se non modifichiamo questo scenario il 2014 rischia di essere l’anno della caduta dell’occupazione anche nel settore delle industrie culturali e creative”. Viene da rispondergli: ma va?
Tuttavia, per la serie “stiamo lavorando per voi, anche se non sembra” in questi mesi il Governo ha inserito la cultura tra le priorità d’intervento e sta avviando alcuni processi di riforma. Mi chiedo: ma tra questi interventi e processi di riforma rientra anche la cancellazione definitiva della storia dell’arte dalle materie di studio delle scuole? No, perché sembra che facciano l’esatto contrario di ciò che dovrebbero fare. Pare, comunque, che tra questi interventi rientri anche quello che riguarda i teatri stabili e le fondazioni lirico-sinfoniche contenuto nel decreto “Valore Cultura” ma è ancora troppo poco.
Le proposte che sono state fatte da Federculture sono riassumibili in:
detraibilità delle spese per cultura e formazione per sostenere e rilanciare i consumi culturali delle famiglie, quindi non solo per i libri, come era stato già detto, ma anche per teatro, concerti, mostre, musei e corsi professionali con abilitazioni artistiche e musicali;
un piano di sostegno per le aziende culturali che hanno un ruolo di servizio pubblico per le quali la Legge di Stabilità 2014 ha stabilito un regime limitativo per le assunzioni del personale, per le retribuzioni e le consulenze che comporteranno sicuramente un peggioramento della qualità dell’offerta al cittadino;
strumenti di assistenza per la progettazione culturale integrata mediante la realizzazione del Fondo di Progettualità Culturale, per rilanciare la qualità dei progetti nella cultura e favorire l’accesso ai finanziamenti europei.
Quindi interventi che comportino un miglioramento sia della domanda che dell’offerta non dimenticando il ruolo strategico della cultura nell’occupazione qualificata sostenuta da un piano di occupazione culturale con incentivi all’affidamento ad imprese, profit e no-profit, della gestione integrata dei servizi culturali diffusi sul territorio anche perché persistono numerosi sprechi legati alla gestione centralizzata da parte dello Stato.
“E’ arrivato il momento di compiere una svolta radicale: affidare ai privati, preferibilmente a giovani cooperative e associazioni, la gestione dei beni e delle attività connesse alla loro valorizzazione.” ha detto Grossi. Finalmente qualcuno che parla di occupazione e lo fa nel modo giusto!
La sfida è difficile, come sempre e più di sempre, le potenzialità sono tante per noi che siamo o non siamo, tra gli altri, il popolo degli inventori e degli artisti? A livello occupazionale ed economico ci sarebbe molto da guadagnare ma chissà come mai in Italia sembra sempre che il peso della cultura sia insostenibile. Gettiamo dalla finestra centinaia di migliaia di posti di lavoro e milioni di euro ogni anno che passa e che perdiamo a non fare nulla o a decidere nuovi tagli alla cultura.
“Dobbiamo tornare a essere un Paese produttore di Arte e Cultura consapevoli che altrimenti saremo destinati al declino rispetto ai processi mondiali nei quali proprio alla conoscenza e alla cultura vengono affidati i destini dello sviluppo”. ha concluso Grassi. Vallo a spiegare a chi ci governa! Se avessero studiato beni culturali, economia e scienze turistiche forse….
Ci sono alcune parole che sembrano calzare a pennello alla nostra bella Italia.
“Aver scarsa cultura è male, ma averne troppa è peggio.” L’ha scritto John H. Secondari, scrittore e giornalista statunitense.
Di origine italiana.