Il conte Matteo Maria Boiardo nacque nel 1441 nel castello di Scandiano, da una famiglia feudale estremamente vicina alla corte estense, tra l’altro assai sensibile alla cultura contemporanea.
Durante la gioventù si rivelò un prodigio nello studio delle lettere classiche, nutrendo particolare interesse per la lingua latina: la ripresa dei modelli classici propria della sua produzione e del filone allora estremamente vivo era orientato soprattutto all’esaltazione quasi panegiristica della famiglia degli Estensi, e in particolar modo della figura di Ercole, il quale fu designato come legittimo successore del fratellastro Borso, nonché governatore di Modena sin dall’anno 1462.
In differenti periodi della sua attività letteraria, Boiardo tradusse in volgare diversi autori latini e greci (anche se, dati i limiti filologici dell’epoca, questi ultimi furono esaminati grazie a versioni latine già circolanti); molti di questi lavori furono commissionati dallo stesso Ercole o dalla sua corte: si trattò di lavori composti frettolosamente e colmi di imprecisioni, ma pur sempre mossi da un preciso intento di diffondere la cultura classica all’interno degli ambienti cortigiani, lontani dagli orizzonti umanistici e più profondamente colti degli intellettuali “di professione”.
Durante la signoria di Borso, Boiardo fu soprattutto a Modena, a Reggio Emilia e a Scandiano, seguendo l’amministrazione del suo feudo, inframezzato da commissioni per conto di Borso a Roma e a Napoli: in queste occasioni incontrò il Papa, il re Ferrante ed Eleonora D’Aragona.
Dopo diverse liti in famiglia nate dall’amministrazione dei possedimenti terrieri, dall’80 all’83 fu governatore di Modena, così insieme agli Estensi dovette fronteggiare la delicata questione della guerra con Venezia (1482-84), parzialmente risoltasi grazie all’intervento delle truppe di Napoli inviate da Alfonso di Calabria: fu convocato nella stessa Venezia per la pace nel 1485.
A questo periodo risale la composizione delle Pastorali: dieci ecloghe di stampo virgiliano, anche se in lingua volgare, che si mostrano tuttavia ricche di riferimenti alla contemporaneità, soprattutto in merito alla denuncia dei pericoli procurati dalle guerre allora in corso (il genere, non a caso, era molto in voga presso le corti dell’epoca).
Nel 1487 Boiardo fu nominato capitano di Reggio, mantenendo con onore tale carica fino alla fine della propria esistenza, quando morì per i ripetuti attacchi di gotta il 19 dicembre 1494, dopo che Carlo VIII ebbe attraversato la Val Padana.
Era il periodo dell’Innamorato e del Timone, che ripercorreva la linea del dramma cortigiano sulla falsariga di un testo omonimo di Luciano. In questo testo Boiardo mostrò come trasformare un dialogo classico in una profonda denuncia dell’ingratitudine e dell’ambiguità scaturite dalla sete di ricchezze, caso tipico della vita a corte; tra le righe è stato letto anche un leggero elogio della liberalità, che ovviamente va preso con le pinze, ma che alcuni hanno preferito vedere come una sorta di “ribellione” alla condizione di vassallaggio intellettuale alla quale si era volontariamente sottoposto.