Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.
Lui è uno scrittore, ma anche un medico. Ha origini afghane, pashtun, ma vive negli Stati Uniti d’America. Lui è Khaled Hosseini, ed è lo scrittore più venduto in Italia. Per la terza settimana di fila il suo “E l’eco rispose”, ultimo di un trittico di romanzi di successo, si piazza al primo posto nella classifica dei libri più venduti, preparandosi a diventare il best seller dell’estate.
Come ha fatto Khaled Hosseini a diventare Khaled Hosseini?
Nato il 4 marzo 1965 a Kabul, nell’Afghanistan di Mohammed Zahir Shah, ultimo, grande e pacifico sovrano del regno afghano, Khaled Hosseini è l’ultimo di 5 fratelli, figlio di una insegnante e di un diplomatico. Il lavoro del padre costringe la famiglia a spostarsi in Iran, a Teheran, nel 1970. Khaled tornerà in patria, insieme ai genitori e ai fratelli, giusto in tempo per assistere al golpe di Mohammed Daud Khan, che segna il tramonto definitivo della monarchia in Afghanistan e dà inizio a un’epoca di conflitti che dura da allora.
Nel 1976 la famiglia si trasferisce a Parigi, sfuggendo così all’orrore della Rivoluzione d’Aprile prima e dell’occupazione sovietica (l’Armata Rossa invaderà l’Afghanistan nel 1979) poi. Il precipitare degli eventi impedisce il ritorno in patria: l’Afghanistan, sottomesso a una dittatura filo-sovietica, resta un miraggio lontano. Khaled Hosseini si trasferisce così in California insieme alla famiglia. Qui ottengono l’asilo politico, e Khaled frequenta le scuole e successivamente la Santa Clara University, dove consegue la laurea in biologia, per poi scegliere la carriera di medico.
L’infanzia trascorsa negli anni pacifici pre-invasione sovietica tuttavia gli rimane impressa nella memoria, per poi tornare a galla, quasi 40 anni dopo, nel suo primo romanzo, Il cacciatore di aquiloni (2003), che indaga la relazione padre-figlio ispirandosi all’amicizia che legò il piccolo Khaled a un dipendente della sua famiglia, di etnia hazara, Hossein Khan, al quale Khaled insegnò a leggere e scrivere.
La famiglia è un tema ricorrente nella narrativa di Khaled Hosseini, giunto oggi, dieci anni dopo dal successo internazionale del suo primo libro, all’apice della sua carriera di scrittore. Che lui sembra vivere con molta umiltà e serenità. E, soprattutto, con (e per) il gusto di raccontare. La scrittura diventa allora pretesto per far parlare ricordi, rievocare emozioni antiche, sfaccettare la propria esperienza in mille modi (in mille volti) diversi, vecchi o infantili, maschili o femminili.
E cos’è in fondo una famiglia se non un complesso coacervo di relazioni in cui si intrecciano e si confondono nomi, volti, generazioni?
Da Il cacciatore di aquiloni a E l’eco rispose, passando per Mille splendidi soli, l’opera di Khaled Hosseini si snoda lungo un fil rouge che è quello dell’indagine meticolosa dei rapporti intergenerazionali, tra padri e figli, madri e figlie, fratelli e sorelle. Del modo in cui “si amano, si feriscono e tradiscono, ma anche su come si stimano e si sacrificano l’uno per l’altro”. Un intrico relazionale che rimanda direttamente alle origini del suo autore. La società e la storia afghana irrompono con prepotenza nei suoi scritti, come a voler sottolineare un legame indissolubile con la patria mai dimenticata. Un richiamo fortissimo, quello dell’Afghanistan, che ha spinto lo scrittore a partire come volontario dell’UNHCR (l’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite). Al suo ritorno a San José, in California, dove vive con la moglie e i due figli, Hosseini ha dato vita ad un ente no profit, la Khaled Hosseini Foundation, che fornisce aiuto umanitario alla popolazione afghana.
Le immagini che la sua scrittura ci restituisce dell’Afghanistan sono talmente vivide da far pensare che lui si trovi ancora lì, nella sua terra natia. Almeno con il cuore.