Il prezzo da pagare è molto alto per chi rinuncia a se stesso. Altroché! C’è da scontare una pena costante, che non si esaurisce e non diminuisce col tempo. Una pena strana a dirsi, che ti lascia libero di muoverti per la strada, ma nel frattempo ti ha già relegato in un limbo, un territorio asettico ed incolore. L’alienazione ha diverse sfumature e cause, ma il minimo comune denominatore è il distacco, l’isolamento, l’emarginazione e la perdita di sé. Prima di ogni cosa, però, è uno stato mentale, al quale si arriva per gradi, disconoscendo i valori costituiti, le consuetudini, le convenienze e ogni sorta di legge non scritta che regola la nostra società. Una società che giudica e condanna senza pietà chi non accetta le fondamenta del cosiddetto vivere civile e non vi si adatta. Perché ha paura del diverso (la società), dei motivi che lo hanno spinto ad esserlo (diverso), delle conseguenze inevitabili che un’epidemia di questi casi porterebbe. Dicevo che l’alienazione ha diverse sfumature e cause, ebbene io vorrei analizzarne solamente due, racchiuse nelle pagine di due libri memorabili. Lascio a chi voglia saperne di più il consiglio di consultare qualche bel trattato di psicoanalisi.
Il distacco di Dino, protagonista de La noia di Alberto Moravia è il prodotto di una nobiltà in decadenza, la quale ha definitivamente abdicato ai suoi valori metafisici per diventare paladina del lusso, dello sfarzo, della mondanità e dei piaceri. Ma è anche il risultato della natura tormentata, afflitta, travagliata di Dino, che disprezza gli agi e i privilegi familiari, ma è anche incapace di trovare un’alternativa a quel vivere. È proprio il sapersi sempre al riparo, anche nei casi più estremi, a togliergli quel desiderio di migliorarsi, di farcela da solo, di lottare con le proprie forze, lottare per ottenere qualcosa, ma qualcosa di suo veramente e non comprato con i soldi della madre. Sì, la madre, che sarà per tutta la vita quella condanna che, alimentando i suoi vizi, lo svuoterà di ogni nobile intento. I vari tentativi di vivere da solo, di dipingere, di provare ad amare una donna, Cecilia, saranno l’ennesima prova di un animo già da tempo lacerato e perduto. Mancanza di rapporti con le persone e con le cose: è questa la definizione della noia per Dino. Un sentimento, sempre secondo lui, molto simile al divertimento, che potrebbe sembrare il suo esatto contrario, proprio perché entrambi distraggono dalla realtà.
Se in Dino troviamo almeno un briciolo di umanità nascosta, diversa invece è la misantropia di Bartleby lo scrivano di Herman Melville, personaggio quantomeno strambo e atipico. Bartleby è un uomo tenebroso ed inquietante almeno quanto il suo essere misterioso ed irritante. È qui che troviamo il sovvertimento delle convenienze, della buona educazione. Sovvertimento che, badate bene perché è qui che si cela la sottigliezza, non viene praticato con un brusco rifiuto ma con un pietoso aggrapparsi ai propri desideri. Assunto alle dipendenze di un avvocato di Wall Street, Bartleby, dapprima scrupoloso lavoratore, comincerà di punto in bianco a schivare i suoi compiti. E la risposta sarà sempre la stessa: “preferirei di no”.
E l’uomo moderno, di fronte a questa frase detta con calma, noncuranza ed ingenuità non ha i mezzi per controbattere e forse farebbe bene a rivederla, la sua vita, se basta un’inezia ad angosciarla.