Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi”.
È con questa frase che si può iniziare a parlare di Giuseppe Pontiggia, bravissimo scrittore dei nostri tempi, nato a Como il 25 Settembre del 1934, e morto nel 2003.
Spinto dalla sua passione per la letteratura, si laurea nel 1959 alla “Cattolica” di Milano con una tesi su Italo Svevo. Ed è nello stesso anno che esordisce come scrittore: la rivista “Verri” pubblica il suo primo racconto autobiografico, intitolato “La morte in banca”.
Negli anni Sessanta, inizia a collaborare prima con Adelphi, con cui nel 1968 pubblicherà “L’arte della fuga”, poi con Mondadori.
Pontiggia, inoltre, è vincitore di diversi premi: nel 1978, con “Il giocatore invisibile”, si aggiudica il Premio Campiello; segue la pubblicazione dei racconti “La grande sera”, che nell’89 gli fa vincere il Premio Strega, e “Vite di uomini non illustri” del ’94, con il quale arriva primo alla competizione Super Flaiano.
L’attenzione agli argomenti da inserire nei propri scritti, per Pontiggia varia continuamente. Troviamo narrazioni della sua vita, ironicamente ricordata ed affrontata; storie di vita comune, di persone comuni, raccontate nel classico stile poliziesco, ma proposte con un registro linguistico austero e illustre. Sue sono le tante pubblicazioni di saggi sulla narrativa classica e moderna.
È nel 2000 però, che Pontiggia affronta un tema nuovo, diverso dal solito; un argomento a lui caro e soprattutto “vicino”. Viene pubblicato il romanzo “Nati due volte”, in cui l’autore affronta le dinamiche, i problemi e il precario equilibrio di un rapporto tra un padre e un figlio disabile. In realtà la storia parla proprio di lui e di suo figlio. Pontiggia nella sua vita si è diviso tra la passione per la letteratura, la narrativa, le storie di persone comuni, le persone cosiddette “normali”, e la sua vita, che con la nascita di suo figlio è diventata “diversa”.
E questo cambiamento, questa rivoluzione, la comprendiamo pienamente leggendo una frase in particolare del suo libro: “Quando ci rialziamo gli dico: cammina bene. Stà attento. Lui procede ondeggiando come un marinaio ubriaco. No, come uno spastico. Si volta per dirmi con la sua voce stentata: se ti vergogni, puoi camminare a distanza. Non preoccuparti per me”.
Pontiggia scrive “Nati due volte”, non per raccontare la sua esperienza, perché come egli stesso ha affermato “non ho interesse per la mia autobiografia, perché nel mio caso mi renderebbe schiavo, mentre il romanzo mi rende libero”. Definisce la sua tendenza a ironizzare, affrontare senza pietismo un tema così delicato e difficile, come una sorta di arma di difesa e di sopravvivenza.
Il grande successo del libro, sorprende l’autore stesso. In un’intervista rilasciata nel 2000 subito dopo la pubblicazione del romanzo, Pontiggia spiega che si aspettava interesse, ma non tanto come invece è stato. Ed infatti, “Nati due volte”, suscitò l’interesse di tutti, vicini o meno al problema. Forse per il tema nuovo, diverso, più delicato; forse per il linguaggio incalzante, essenziale; forse per il coraggio con cui i protagonisti affrontano un dramma esistenziale.
In realtà è la storia del quotidiano: tutti hanno la necessità di avere costantemente a portata di mano un “manuale per l’uso”. Nessuno ti spiega come reagire davanti a un bambino “diverso”; nessuno ti dice come comportarti quando tuo figlio ti chiede spiegazioni o ti fa domande, talvolta più grandi di lui; e nessuno prepara i genitori a crescere un figlio disabile, come è successo a Pontiggia e come succede a tante madri e padri. E allora “gli altri”, “gli esterni”, vogliono sapere “come si fa”, come si affronta, cose se davvero esistesse una spiegazione. Ma non esiste. Non esiste la diversità e non esiste la normalità. Esistono le persone. E riguardo a questo non potrebbe essere più chiara la frase di Pontiggia: “Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita.”