“Renzo, è bellissimo!”
Paola, detta Nicole, fissava il quadro da un quarto d’ora e ancora non trovava le parole giuste per descrivere quello che sentiva nel cuore e nella gola. Il dipinto era una cosa semplicissima, un bambino piccolo che guardava incantato due taglialegna intenti a segare un albero nel bosco. Ma nello sguardo di quel pupo, a lei pareva di trovare tutta la dolcezza del mondo.
“Boh… Una crosta come mille altre” disse Renzo vuotando un altro bicchiere di rosso.
A Paola venne voglia di prendere in mano il fiasco di Refosco e spaccarlo sulla testa di suo moroso, ma per l’ennesima volta si disse che era la stanchezza a giocarle brutti scherzi. Aveva appena staccato dopo il turno di notte al bar, e aveva ancora addosso il nervosismo delle ore passate dietro il banco. Doveva avere pazienza.
“Guarda che questo devi farlo vedere, Renzo, devi chiedere a qualcuno di valutarlo! Sai quanta gente al borgo grosso pagherebbe per avere una cosa così in salotto? Hai idea i turisti?”
Renzo alzò la testa e la guardò come se Paola avesse appena proposto di far saltare la montagna con la dinamite e venderne i pezzi come souvenir.
“Non capirai mai” borbottò versandosi un altro bicchiere (il quarto? Il quinto da quando era rientrata? Paola si odiava per tenere il conto di quanto bevesse suo moroso, e si odiava ancora di più per non riuscire a spiegargli quanto gli facesse male).
Allora Paola perse la pazienza.
“Passi tutte le sere a dipingere” attaccò “Io torno a casa dal locale alle due di mattina e o sei ancora su quelle cazzo di tele, o ti ci sei addormentato contro. E adesso, quando finalmente tiri fuori qualcosa che ci aiuterebbe a pagare l’affitto, mi dici che non capisco? A ME?!!”
Renzo prese un respiro enorme, si alzò dalla sedia come se sulle sue spalle fosse piombato un peso insostenibile, e si avvicinò al cavalletto. Poi, mise le mani sui fianchi e studiò il quadro.
“Dici che è buono? Buono davvero?”
Paola gli si avvicinò, e gli cinse le spalle con il braccio.
“Renzo, è meraviglioso. Fidati.”
Allora Renzo sospirò ancora, si sciolse con delicatezza dall’abbraccio, e facendo attenzione a non danneggiare i colori ancora freschi prese il quadro tra le mani. In due passi fu di fronte al caminetto acceso, un attimo dopo gettò il suo capolavoro tra le fiamme.
Paola rimase senza fiato. Il fuoco ci mise pochissimo a mangiare il fanciullo, i due boscaioli e l’enorme albero che si accingevano ad abbattere. Pareva che Renzo l’avesse corparso d’alcol prima che lei tornasse a casa, pareva che il caminetto di casa sua fosse diventato una creatura famelica e bestiale, tenuta a digiuno per mesi.
Quando non rimasero che pochi brandelli del quadro, Renzo si riavvicinò alle fiamme e si slacciò i pantaloni dando le spalle a Paola e al suo sgomento.
Quello che suo moroso fece dopo, Paola non lo vide mai. Alle due e trentasette di mattina in un martedì di novembre, era al volante della sua Panda 4×4 diretta verso un posto che ancora non conosceva, ma che doveva esserci per forza.