Mi domando se veramente tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si complica e s’accelera, non abbia ridotto l’umanità in tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin de’ conti, tanto di guadagnato. Non per altro, badiamo: per fare una volta tanto punto e daccapo
Il corpus di opere di Luigi Pirandello non finisce mai di sorprendere. Lo scrittore siciliano ha incarnato, davvero come pochi, le tensioni, le inquietudini e i dilemmi dell’uomo del Novecento. E in quest’ultimo secolo, di cose ne sono successe un bel po’: mai nella storia un arco temporale di cento anni ha introdotto così tante novità in tutti i campi dello scibile umano. Mai un secolo è stato spettatore di così tanti eventi, e mai l’uomo è cambiato più velocemente.
I Quaderni di Serafino Gubbio operatore, romanzo di Luigi Pirandello la cui prima edizione reca la data del 1915, costituiscono uno straordinario affresco letterario d’inizio Novecento, e in particolare della regina delle rivoluzioni, foriera di svolte epocali sia dal punto di vista tecnico che filosofico: l’avvento della macchina, intesa come simbolo universale di progresso dell’età contemporanea. Quando Pirandello lavora all’opera, l’Italia è attraversata in lungo e in largo da poderosi venti di guerra, alimentati dai più e in primis dai futuristi, che vivono proprio in questi anni il loro momento di gloria: azione, interventismo bellico e progresso tecnologico sono le colonne portanti del futurismo, fenomeno che abbraccia politica, letteratura e arti figurative.
Luigi Pirandello, il teorico per eccellenza del contrasto tra forma e vita, si discosta con i Quaderni da questi fremiti e costruisce un romanzo riuscitissimo incentrato sul contrasto tra civiltà tecnologica e umanistica, tra cinema e teatro. In sostanza, tra l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e l’irripetibile unicità dell’opera artistica. Il contrasto appare insanabile: di più, esso è un trauma. E possiamo affermare che i Quaderni di Serafino Gubbio operatore sono di fatto il romanzo del trauma del Novecento: la sostituzione dell’arte con la finzione, della vita con l’artificio, del fantastico con il meccanico, dell‘irripetibile con l’infinitamente ripetibile.
Non può nulla contro tutto ciò Serafino, protagonista dell’opera, intellettuale con aspirazioni umanistiche che finisce però per fare il più meccanico, tecnico e alienante dei mestieri: è infatti il cineoperatore di una casa cinematografica, che quotidianamente svolge il lavoro e annota gli eventi più significativi che accadono intorno a lui (costruendo così i quaderni, un diario in sostanza). Tra donne seduttrici, uomini-macchina e personaggi irrilevanti – semplici comparse sul palcoscenico della vita – il romanzo si snoda sulla falsariga del confronto-scontro perenne tra vita e forma, sul terreno di un’arte – quella cinematografica – che produce movimento solo in virtù di un’artificio meccanico. Il finale è una splendida metafora del destino di sconfitta dell’intellettuale di fronte a questo cambiamento irreversibile: protagonista di una morte in scena durante delle prove, sotto l’occhio cinico della cinepresa, Serafino reagisce allo shock con l’afasia: ed è, di fatto, il mutismo a cui è condannato l’artista di fronte di fronte alla riduzione dell’uomo a macchina.
Sottolineare l’attualità del romanzo appare addirittura troppo facile. Nell’era del consumismo sfrenato e del trionfo indistinto della tecnologia, la persona rischia di perdere sempre più il suo valore di unicità. Proprio come annota il protagonista nei suoi quaderni:
Eravamo già all’entrata del reparto del Positivo: finii d’esser Gubbio e diventai una mano