Il cielo era viola, avviluppato da un grigiume temporalesco.
Il ragazzo guardava i resti dei fedeli capovolti, nella chiesa, la sabbia s’ergeva come statue e auree ossute bruciate dal tempo.
Il ragazzo, con la bocca impastata scatarrava mentre uccelli neri insistevano su teschi equini.
Un sasso per scacciare la timida sensazione che il diavolo fosse alato e chino alla terra arsa.
Il bronzo del cielo inghiottiva il viola.
Il ragazzo sellò il cavallo, il vento sellò la sua ombra.
Il viaggio era accompagnato da facce verniciate di nero, il ragazzo vedeva i visi pallidi del tempo e quindi dei chilometri.
La morte, l’omicidio e la grazia dell’acqua che non toccavano la sua lingua.
Il ragazzo uscì la lingua, rivolta, e fuori dalle orbite, raccontava di come le cose cambino e che le cose hanno un loro posto. Il sole batteva e non conosceva le cose.
Granelli di sangue rotolavano lungo le case e i legni, spaccati in due, croccanti, rigavano un temporale.
Una scossa di pioggia tracciò un meridiano di sangue sulla sua fronte, fiumi liturgici pregavano ai suoi piedi.
Il viaggio si fermò con le sue questioni a Dio.
Dio era il temporale ed il sangue s’era, frattempo, marchiato di un lampo uncinato: la forma della solitudine, pensò il ragazzo.
Poi due nuvole s’arricciarono e, come labbra spremute che’ forzate stillano globuli, il ragazzo si credette cieco.
Il viaggio si tinse del verde della acacie ed il cielo barattò il suo colore con la terra…
Il ragazzo continuò a galoppare mentre l’enigma delle cose si sostanziava nell’ombra del cavallo, dietro di lui.
Cormac McCarthy, miei cari lettori fuori controllo, è il ragazzo… voi potete essere il viaggio: gli enigmi sono di un bivio biforcuto, diceva Borges.