Il 16 aprile di quest’anno, come accade ormai da quasi un secolo, sono stati assegnati i vari premi Pulitzer. Dico vari perché forse non tutti sanno che i premi sono circa 21, divisi in due macrocategorie: giornalismo e arti e letteratura, extra sono i premi speciali.
Il 2012 ha visto vincitore della prima categoria il giornalismo on line, sintomo del fatto che anche i grandi avi cominciano a riconoscere l’importanza dell’informazione Web 2.0. Ad emergere tra i vincitori sono stati il blog/quotidiano “The Huffington Post”, premiato, nella persona di David Wood, come migliore National Reporting e il quotidiano on line “Politico.com”, premiato per la Satira grazie alle vignette del disegnatore Matt Wuerker. Non fanno invece notizia i vari New York Times e Chicago Tribune, ormai dediti a premi di questo tipo.
Ha fatto notizia invece la scelta, operata dalla Commissione del Premio Pulitzer, di non assegnare alcun premio alla sezione narrativa.
Ed io che, ignorante lo ammetto, neanche pensavo si potesse NON assegnare un premio. Insomma questi trofei vengono imbastiti ad opera d’arte per portare prestigio e denaro (eh già: i vincitori portano a casa, oltre ad una medaglia d’oro, un assegno di 10,000 dollari!) a colori che li creano, prima che a coloro che li ricevono. Per cui, perché mai lasciare una sedia vuota, una medaglia nel cassetto e un assegno in banca?
“No award”, solo questa è stata la risposta.
Forse i nomi dei tre finalisti selezionati dalla giuria non sono stati considerati all’altezza di tale premio, eppure l’anno scorso a vincere è stata una semisconosciuta Jennifer Egan con un mediamente buon romanzo appartenente alla moderna letteratura americana, con un po’ di brio in più forse, ma con nulla di meno ad un romanzo medio. Gli sfortunati Denis Johnson, David Foster Wallace e Karen Russell non sono stati all’altezza. David Foster Wallace? Si, ho letto bene. Il suo romanzo postumo, Il re pallido, rivisto e corretto (dicono anche troppo) da Michael Pietsch poco ha convinto la commissione. Degli altri due si son perse le tracce ancor prima della pubblicazione dei loro romanzi.
Dunque chi ritenere responsabile della mancata consacrazione della letteratura americana moderna? La giuria? La commissione? Gli autori? O la letteratura stessa?
Forse la crisi mondiale ha colpito anche la narrativa, o le poltrone della Columbia University, amministratrice del Premio Pulitzer, istituito dal giornalista ungherese-americano Joseph Pulitzer proprio agli inizi del secolo passato. Sta di fatto che una simile scelta è stata fatta altre volte in passato, perlopiù negli anni ’50, nel periodo nero del dopoguerra, quando in Italia si viveva di neorealismo e negli Stati Uniti di avanguardia classica. Anche il povero Hemingway fu scartato con il suo “Per chi suona la campana”.
Ma in molti quest’anno hanno avuto la sensazione che ad essere stati esclusi non siano stati i romanzi, né gli autori, ma le case editrici, il mercato culturale sempre più mercato e sempre meno culturale. Colossi editoriali come Random House e Hachette hanno portato al grande pubblico autori di immensa bravura eppure oggi, in un momento di cambiamento profondo del mercato editoriale, non sono stati capaci, secondo la “regina” commissione di inquadrare il bersaglio e definire un obiettivo.
Insomma, anche aldilà dell’oceano le cose cominciano a muoversi, emerge il World Wide Web e crolla l’intrattenimento da quattro soldi. Molti romanzi, poche case editrici. Che siano o meno di spessore questo ci è difficile giudicarlo. Lo ha fatto qualcun altro per noi, lasciando una sedia vuota e un cartello bianco con su scritto: no award!
Eppur si muove…