Ci sono variabili che influenzano indirettamente lo scorrere fluido e continuo delle cose, queste si scontrano con le costanti. Inviolabili, incontrastabili, naturali e durature. Ci sono e non cambiano.
Miriam Mafai è stata una costante del secolo passato, attrice e spettatrice degli anni più importanti della storia italiana. Un panorama ampio come quello politico, sociale e artistico ha subìto la sua influenza di donna forte e combattiva, così come Miriam è stata spesso trascinata dalle variabili impazzite del Novecento, secolo di cambiamenti del nostro bel paese.
Nata in tempo per vivere e affrontare le due grandi guerre, Miriam è stata vittima delle sue origini (ebree da parte di madre) e dunque costretta a rinunciare agli studi tanti amati, quelli del liceo classico. Una privazione che ha trasformato, come spesso accade, la rabbia in battaglia. Battaglia che ha trovato culla nell’allora PCI; sono gli anni ’40 e una donna italiana, di origine ebree si unisce al partito comunista.
Le collaborazioni con i quotidiani sono l’ultimo tassello, quello mancante, quello che le permette di completare se stessa e cercare di arrivare ad analizzare un paese ricco di limiti e contraddizioni. Ciò di cui scrive e racconta è forte e disturba, come la consapevolezza di vivere in un paese in cui le donne hanno accesso limitato al mondo della politica, della medicina, della giustizia. La donna in Italia ancora non esiste; sono gli anni ’70 e una donna italiana, giornalista, fonda, con altri illustri colleghi, il quotidiano La Repubblica.
Poi i libri, i saggi, le inchieste. Lungo freddo, la biografia di Bruno Potecorvo, Dimenticare Berlinguer, Botteghe oscure addio, L’uomo che sognava la lotta armate, la biografia di Pietro Secchia, Il silenzio dei comunisti, un dialogo con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin, e La mia professione, un ripercorrere i diritti e i doveri del giornalismo moderno.
Per Miriam ci sono solo denunce, inchieste e parole, parole, parole… quelle di trent’anni di editoriali a La Repubblica, quelle che hanno tuonato forte circa argomenti quali l’aborto, il divorzio e condizione femminile, “Alle giovani dico sempre di non abbassare la guardia, non si sa mai. Le conquiste delle donne sono ancora troppo recenti”.
E proprio quella per l’emancipazione femminile è stata per Miriam una battaglia mai finita, nonostante lei stessa abbia più volte riconosciuto i grandi passi avanti compiuti dalle donne in Italia. Era ironica, e ottimista, e così amava raccontare il suo mondo e quello che la circondava. E così, voce fuori dal coro, guardava avanti e non indietro, guardava le vittorie e non le sconfitte.
Anais Ginori ha detto che “la libertà deve essere rimessa al mondo ogni giorno”, e per Miriam l’idea di mettere al mondo era tipicamente femminile, così come l’idea che le stesse battaglie femminili fossero battaglie di libertà, che non riguardano solo le donne. Lei lo sapeva, lo sapeva ogni volta che poggiava la penna su carta, ogni volta che dibatteva in parlamento con i propri “colleghi”, ogni volta che combatteva per sé e per gli altri.
L’hanno definita una voce scomoda, una donna comunista, una polemica. Io la voglio ricordare come una donna che ha combattuto per la propria libertà.