I più fortunati li riportavano con sè a casa, e l’intera settimana trascorreva senza che quelle assicelle di legno e il rocchetto di filo fossero mossi. La domenica i ragazzi di buona famiglia salivano sulle colline del paese, e nell’invidia di noi, che non avevamo neanche da mangiare, facevano librare in aria quei rombi colorati.
L’anno che potei permettermene uno, non ricordo bene, sarà stato il ’47, perchè la Guerra era già finita da un po’, andai da solo sulla collina. Tutti i ragazzi ricchi erano andati via, a lavorare lontano dal paese, noi quindicenni li ammiravamo e un po’ li invidiavamo, specie quelle volte che tornavano sulle auto dai larghi parafanghi come usava quel tempo.
Mario, che un tempo aveva guidato l’aquilone azzurro con due stelle rosse, ora girava con un’Alfa a quattro porte celeste polvere.
A me invece ancora bastava sognare con il mio, un po’ rattoppato, giallo sole, senza disegni. A volta mi capitava di andare su, verso la collina, a caccia dei vecchi aquiloni, e di trovare le spoglie di quei sogni d’infanzia.
Dopo essere stati usati, o perchè persi, li trovavi su rami d’albero, tra i sassi, tra le pozze sporche di fango. Che destino triste. Allora decidevo di prenderli. Poi li ripulivo e li facevo volare, salvando la maggior parte di quelli che trovavo.
Il tempo divorava silenziosamente i miei anni e le mie scelte, si portava via tutto il mio mondo. Mi restavano gli orologi del mio negozio e gli aquiloni nel retrobottega.
Quando si dice la sorte. Nel grande incendio del Sessantasette persi tutto quello che avevo da parte, e mi restò solo quell’aquilone giallo sole. Solo nei miei ricordi esistevano le code lunghe di alcuni, il grande Leone stilizzato su quello di Giovanni Menti, e i nastri arancio dell’aquilone di Marisa.
Non avevo più nulla, e allora decisi di partire per Lugano. Lasciai Sulmona con tanto nero nel cuore e ricominciai.
Gli aquiloni divennero la mia vita, e in seguito ricominciai a riparare orologi. Posso dire di avere avuto tanti doni, e il più bello fu Caterina, con i suoi grandi occhi scuri.
Da un anno e più ha lasciato la terra. Sono felice di morire, così la ritrovo.
Nel posto dove mi aspetta forse ritroverò la collina di Sulmona e tanti aquiloni, e forse pure le facce da ragazzini di Marisa, di Giovanni, di Mario.