-Il verbo di Silvana Grasso, il verbo della Sicilia anti-Verghiana: questo dice il cielo grassiano, giovane di fuochi mai nascosti; in queste parole l’entusiasmo labbatiano per la donna-scrittrice Silvana, che è LA SICILIA:
Terra arsa di finocchi, bruciata di mestruazioni nella canna dell’anima dei suoi personaggi, disperata nella disperazione delle ugole dei campanacci; comare delle bestemmie della piazza, vorticosa di venti volubili al tocco della femmina: buttana! Stinca, buttana! Da ammazzare, da scannare, da divorare, da impastare con la luna: altra buttana infiammata di aglio bianco, di meriggi universali poggiati su Terranova. Eppoi Tano, eppoi don Giachino: eppoi il seme sulle cosce della femmina: le lumache, chè striscianti impastano tovaglie di pizzo con l’ arsùra, ed il bianco biancore delle risultanze anatomiche dello schizzo scintillante dell’uomo: Lupo! I tendini stracciati dallo sguardo della DONNA, l’ostia vomitata dallo bocca a spicchio… del “purtusu” fra le cosce, perché la benedizione si è dispersa, perché il bastardo sbraita carne: carne di sangue spara dalla bocca, e la bocca schiuma come la pasta: pasta sul fondo della pentola, e labbra “lorde” di fresco mestruo-basilico: i profumi di forzuta surrealtà grassiana!
E le chiese illuminate (come lo sparo di una lupara carica ad abundatiam), dalla glossa “grassiana”, chè manco alla Notte di Natale scovano femmine caste, solo crocifissi radicati nel gesso, pelosi di vegetali selvaggi, confessioni di vigne, di orticarie, e l’ernia carnosa- riottosa… e le masserie con la “sputazza” in coma: vivide sommatorie di pienezza linguistica, mai solo forma ma sostanza: la polpa, VERA polpa intellettiva, strutturata. Corpus Domini transustanziato nella balbuzie di Lupo; corpo di Cristo molle sopra la lingua; quest’ultima colante di peccato, kafkiana nel buio oltre l’anima lorda di fango.
E schiacciati chicchi del Rosario pregano anche per le manacce di Gregorio Samsa chè Silvana Grasso sicilianizza: in un unicum di templi di VERBO squisitissimo!!! Dove il peccato è umido come la notte che piange, ancora buttana svestita… mangiatrice di pistacchi: le bucce sulle minne… piene!
-Verbo Grassiano:
“ La sacca dell’utero, espulsa da un’ultima doglia del ventre, scivolò molla sulla coscia e a Tano, che la fissava, parve tale e quale l’ernia di don Giachino…”
“ Il vecchio, dalla pelle di castrato, campava invece tra i lenzuoli di pizzo, freschi di bucato. L’emorragia s’era arrestata chetata e ora don Giachino sembrava sfidarlo dal letto, con la pupilla grande più di quando respirava il tabacco e gli occhi gli lacrimavano”
“ A scirocco si sentiva un latrato di cagne tra i pistacchi dell’Accia, dove la roccia imbruniva d’una macchia di rovi e del pelo dei conigli, secco e leggiero come la bava delle lumache dopo la pioggia. Latravano come prossime al parto, e non era tempo d’alleviare nel sangue del ventre i visceri pieni”
-TeDeum siculo- labbatiano pro-Grassiano:
La meccanica della scrittura grassiana, abbraccia lo stupro linguistico ( stupro che nasce a Terranova, che si sposta a Mautàna, che copula con violenza canina con le maschere siciliane, che “surrealizza” il fico d’india, il tramonto-mestruo, che dà polmoni alla mia anima!) e schiaffeggia la “statica” fabula dei prosatori-ammutoliti siciliani ( Verga e co.) , perchè VIOLENTA la forma secca della narrativa sicula, in quanto esporta la realtà-surreale ( quasi post-moderna, ma respirante in terra greca!), dell’oscurato intra-senso della voracità dell’isola Oltre lo Stretto, e quindi trionfante in un’accorta mistione, perfetta e non imitabile.
E’ geometria, la piccante menta del suo scrivere!
Pertanto la femmina-scrittrice, Silvana Grasso, è quell’acido angelico (ugualmente satanino), che è la Sicilia! E la Sicilia medesima può solo scrivere con lo stesso corpo grassiano e non con altri: è una possessione eterna, reciproca: entrambe geniali, non riproducibili, non soggiogabili!
Un Amen siciliano!