Dici Giovanni Verga e pensi a I Malavoglia.
È, infatti, assolutamente fuor di dubbio che il celebre scrittore catanese abbia legato il proprio nome a quel romanzo in quindici capitoli, pubblicato a Milano dall’editore Treves nel 1881, che doveva costituire il primo step del ciclo dei Vinti e a cui fu dato il titolo I Malavoglia, con riferimento al nomignolo ingiurioso attribuito dal popolo alla famiglia Toscano.
Siamo – è curioso ricordarlo – di fronte ad un romanzo che presso i contemporanei fu un completo fiasco. Solo il Tempo ha dato ragione a questo lavoro artistico, preparato meticolosamente e assurto a pietra miliare di quella corrente letteraria passata alla Storia con il nome di Verismo.
Al centro del capolavoro di Verga ci sono le turbolente vicende della famiglia Toscano, sullo sfondo di un’arcaica e incontaminata Aci Trezza negli anni successivi all’unità d’Italia.
È la storia di una fine annunciata.
I Malavoglia perdono la sfida con le grandi trasformazioni globali, immediata conseguenza del progresso tecnologico e del nuovo assetto politico dello Stato unitario italiano. È una sconfitta senza “se” e senza “ma”, che conferisce una tinta grigia e pessimistica all’ intera opera: perde il vecchio padron ‘Ntoni che, legato ad una salda tradizione di famiglia e sani valori, tenta di adattarsi al nuovo mondo dandosi al commercio, ma finisce per perdere i due simboli di quella Tradizione in cui tanto credeva, la “casa del nespolo” e la barca da pesca (la “Provvidenza”). E perdono inequivocabilmente i nipoti che, a contatto con i neonati valori della nascente borghesia, si lasciano trascinare in un vortice di perdizione, come ‘Ntoni (che del nonno sembra avere solo il nome), il quale finisce in carcere, e Lia, che si dà alla prostituzione. Solo il giovane Alessi, rimasto sempre ostinatamente e ingenuamente legato alle sue radici, tenta di ricostituire l’ormai frantumata unità della famiglia, riuscendo a riacquistare la casa del nespolo.
Ma la morte del vecchio ‘Ntoni ha il sapore amaro di una fine, quella di un mondo arcaico, vivo, sano e genuino.
La grandezza di Verga sta nell’esporre tutto ciò con uno stile impersonale ineccepibile. L’autore è un verista a tutto tondo: da lui non traspare quella vena nostalgica tipica di chi appartiene ad una generazione che si avvia a scomparire. A regnare sovrana è l’osservazione diretta dei fatti, che vengono riportati in tutta la loro crudezza, in tutto il loro cinismo.
La letteratura rusticana è morta, quella realista si avvia a conquistare terreni sempre più vasti.
Passato attraverso l’indifferenza dei contemporanei, da tempo I Malavoglia viene considerato un’intramontabile classico della letteratura italiana.