Un barbiere di professione, iscritto alla Corporazione dei Medici e degli Speziali di Firenze, dove nasce nel 1404: stiamo parlano di Domenico Di Giovanni, passato alla storia con il nome di Burchiello. La sua è un’esperienza poetica interessante e originale, certamente la più sorprendente del primo quarto del secolo XV. Nella sua bottega si riuniva una sorta di circolo culturale e politico, nel quale si respirava un’ostilità alla famiglia dei Medici (dopo la loro ascesa al potere, infatti, il Burchiello è costretto all’esilio).
Le sue Rime (pubblicate per la prima volta già sulla fine del XV secolo, ma curate criticamente e filologicamente solo in anni recentissimi) sono sonetti caudati di tipo burlesco, che crearono un genere comico molto diffuso nella Firenze del tempo e per tutto il Quattrocento: una vera e propria scuola sui generis – tanto che nei numerosi manoscritti contenenti simili testi è molto difficile distinguere quelli del Burchiello da quelli dei suoi continuatori.
Un linguaggio assolutamente fuori dall’ordinario e un accostamento apparentemente senza senso tra parole e cose sono le caratteristiche salienti di questi componimenti poetici, nei quali si affollano parole di diversa origine, nessi insoliti che danno vita ad una comunicazione linguistica del tutto originale e che riscuoterà un enorme successo. Il Burchiello (soprannome che deriva dalla sua stessa definizione di sonetti alla burchia) scopre così nel linguaggio più comune un’irrazionalità di fondo, che produce versi del tipo Nominativi fritti e mappamondi / e l’arca di Noè fra due colonne / cantavan tutti chirieleisonne.
Una distorsione della realtà, quella messa in atto dal barbiere fiorentino, in palese polemica con la lucida e trionfante razionalità degli umanisti.