I giardini dove andiamo a trovare i nostri defunti sono uno dei luoghi fondamentali per far affiorare i ricordi e i momenti di vita passati con le persone che non ci sono più. Potrebbero essere definiti come lastscapes, cioè ultimi paesaggi, quelli in cui appunto si stringe il contatto finale ed eterno fra vivi e morti. Così Emanuela De Leo intitola il suo libro sui giardini cimiteriali europei: Paesaggi cimiteriali europei. Lastscape, realtà e tendenze. In esso concentra e delinea i tratti architettonici, i progetti e le strutture monumentali presenti nei più grandi cimiteri delle città europee, come il cimitero monumentale di Milano, il Père-Lachaise di Parigi, l’Highgate Cemetery di Londra e il Montparnasse, sempre a Parigi.
Questi luoghi della memoria sono, però, non solo affascinanti dal punto di vista architettonico, ma anche da quello letterario. Dalle Opere e i giorni di Esiodo fino a Platone, e ancora a Virgilio e Plutarco, i poeti e gli scrittori riprendono sempre l’immagine di un mondo mitico, un giardino ricco di piante da frutto, di fiori e di corsi d’acqua.
Il Romanticismo diviene l’epoca in cui la cornice decadente e nostalgica delle sepolture si fissa nell’immaginario collettivo: basti pensare a tutta la letteratura e alla poesia ossianica e sepolcrale europea, di cui Ugo Foscolo, con i Sepolcri, è uno dei massimi esponenti in Italia.
Nel corso dell’Ottocento, in Inghilterra, come in Francia e in Italia, si sviluppa il gusto per la progettazione del cimitero come giardino paesaggista, all’inglese. Se prima i cimiteri erano luoghi esterni alle mura cittadine, ora essi diventano un luogo urbano, in cui si creano itinerari interni che conducono a cappelle e sepolture ricche per di storia e bellezza architettonica. Successivamente, l’uso simbolico e funzionale dei fiori e degli alberi creano in tutt’Europa un’iconografia e un linguaggio cimiteriali, destinati a segnalare, proteggere e depurare i cimiteri.
Nei cimiteri, tuttavia, quelli in cui andiamo a trovare i nostri defunti, non sempre ci si sofferma ad osservare le bellezze architettoniche, gli affreschi e i decori floreali. Nei giardini cimiteriali si va per riallacciare un discorso interrotto, e mille volte ripreso, per parlare attraverso gli occhi e fissare quelli aperti e immobili delle foto. Si va per ricordare un sorriso e risentire una voce di cui poco ricordiamo l’inflessione e i toni. Il contesto intorno, i giardini e le fontane, i fiori e gli alberi aiutano, certo, un parlare armonioso e sommesso, fatto di risate ancora pronte a scoppiare e lacrime che bagnano gli occhi ma non vogliono scendere.
I cimiteri, non potrebbe essere diversamente, hanno ancora oggi l’atmosfera nostalgica e romantica dei momenti interrotti, delle storie non accadute e dei giorni passati in fretta. Sono luoghi temporanei, per tutti. Sia da vivi che da morti, non resteremo in eterno lì. Perciò diventano una sorta di eden magico, in cui andare per qualche minuto e, nel vago ricordo, perdersi nelle fantasticherie e nei dolci pensieri di un’età che fu.
I giardini cimiteriali di campagna, quelli vicini ai campi coltivati, dove la vita ancora scorre senza tanta fretta, sono quelli che più predispongono l’animo alla dolcezza. Da lì si possono ascoltare le voci dei contadini, quelle dal tono un po’ burbero e severo che ricordano il contadino con cui George Gissing nel suo By the Ionian Sea parla per pochi minuti: “era come ascoltare la voce di uno dei nostri avi. Non avevo mai visto un uomo così paziente, così gentile”. Con calma e disposizione d’animo, quelle parole e quei toni si possono ascoltare ancora oggi, in uno dei tanti giardini sepolcrali.