Galileo Galilei e Bertolt Brecht: da una parte uno straordinario uomo di scienza, che ha letteralmente rivoluzionato il mondo e il nostro modo di concepire le cose; dall’altra una delle personalità più influenti del Novecento letterario europeo. Le due figure trovano la loro fusione immaginaria in quest’opera, Vita di Galileo, che ha conosciuto una grande fortuna presso il pubblico, sia contemporaneo che postero.
Drammaturgo, poeta dalla sensibilità raffinata e scrittore, Bertolt Brecht ha impresso il suo nome nella storia della letteratura tedesca, conferendo gloria ad Augusta – la città della Baviera che gli ha dato i natali – e imprimendo il suo timbro nella storia del teatro con una gran quantità di opere contraddistinte da una regia originale e “moderna”.
La Vita di Galileo – che ha conosciuto più di una versione – trova la sua genesi negli anni 1938-1939, quando la Germania è saldamente e follemente affidata ad Adolf Hitler e al suo regime nazista. L’oppressione è evidente, e l’invasione della Polonia alle porte.
È in questo momento tragico (per il mondo intero e tanto più per la sua amata patria) che Brecht decide di incentrare il suo dramma sulla figura di Galileo Galilei, il celebre scienziato pisano che ha sacrificato la propria vita alla causa del progresso dell’umanità. L’opera non intende raccontare la vita dell’uomo; l’infanzia è del tutto trascurata, e l’inizio ci presenta un Galileo già maturo, professore di matematica presso l’Università di Padova e scienziato già noto e rispettato. Il focus di Brecht è sull’operato appunto scientifico del fisico e astronomo pisano, e in particolare il dramma si concentra sul rapporto tra scienza e potere; quest’ultimo è da intendersi sia in senso “istituzionale” (ossia il potere temporale della Chiesa) che “teologico” (i dogmi della dottrina cattolica).
Confidando nella ragione umana, Galileo si dedica agli studi con passione e ingegno. Realizza un cannocchiale di cui entra in possesso la Repubblica di Venezia, scopre i satelliti di Giove e contribuisce in maniera energica e decisiva alla diffusione delle teorie copernicane, in opposizione a quelle geocentriche propugnate dalla Chiesa. Con quest’ultima lo scienziato entra progressivamente e inevitabilmente in contrasto, fino all’abiura a cui il protagonista è costretto. Terribile l’azione dell’Inquisizione, strumento di morte e simbolo della negazione assoluta di libertà di pensiero.
Il dramma trova la sua esegesi nel contesto storico all’interno del quale esso nasce. Galileo stava all’Inquisizione come Brecht al regime nazista, che utilizzava la scienza esclusivamente a proprio vantaggio e ne faceva strumento di distruzione e di morte. Erano quelli gli anni delle teorie della superiorità della razza ariana, ed erano quelli gli anni in cui si studiavano l’atomo e la sua scissione per produrre quelle terribili armi di distruzione di massa che avrebbero sancito la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Brecht mette in scena dunque una straordinaria metafora dei suoi tempi, stimolando una riflessione profonda e intelligente sul rapporto tra scienza e potere e propugnando la tesi dell’assoluta autonomia della prima, che trova la propria ragion d’essere esclusivamente in virtù dei benefici che produce per l’intero genere umano.