Quando la provocazione indossa l’abito elegante di una certa arte e il suo unico scopo è quello, nobile e necessario, di far riflettere, allora lunga vita alla provocazione! E lunga vita anche alla canzone italiana, quando è capace, attraverso l’arma dell’immediatezza, di porre interrogativi importanti.
Il brano in questione si chiama “Io” e fa parte dell’ultimo disco di inediti del cantautore romano Niccolò Fabi. “Non sarà mica l’ego l’unico nemico vero di quest’universo? Non sarà certo questo piccolo pronome il centro di ogni discorso?”
Lo è certamente per Zeno Cosini, il celebre personaggio nato dalla penna di Italo Svevo, e per forza di cose, visto che l’analisi dell’io- e dei vari strati della coscienza- in quel romanzo assume un ruolo fondamentale. Attraverso una struttura narrativa che coraggiosamente esce dagli schemi precedenti, lo scrittore triestino focalizza l’attenzione sulla parte più nascosta ed inaccessibile dell’essere umano. E’ il subconscio, tutto ciò che è ai margini o al di fuori della coscienza, ma che pur esiste nella psiche. E allora la letteratura di Svevo è al servizio di questa esplorazione, di questa discesa nei recessi dell’animo.
Poi c’è l’uomo che sposta lo sguardo da se stesso, che allarga gli orizzonti dei suoi interessi, che capisce di non essere lui il protagonista, ma di fare la sua semplice comparsa nel kolossal della vita.
La guardia bianca, delizioso romanzo di Bulgakov, finisce con queste frasi:
“L’ultima notte sbocciò. Nella sua seconda metà tutto il greve blu, cortina di Dio che avvolge il mondo, s’intessé di stelle. Fu come se, nelle incommensurabili altezze dietro quella tenda di blu, presso le porte del Regno si celebrassero i Vespri. Sull’altare erano accese le fiammelle ed esse si riflettevano sul tendaggio in forma di croci, a mucchi e in quadrati. Sopra il Dnepr, dalla terra peccatrice, insanguinata ed innevata, si levava nelle nere, fosche altezze, la croce di Vladimir, a mezzanotte. Di lontano pareva che il braccio trasversale fosse scomparso, si fosse fuso con quello verticale, e per questo la croce s’era mutata in una minacciosa spada affilata. Ma essa non fa spavento. Tutto passa. Passano le sofferenze e i dolori, passano il sangue, la fame, la pestilenza. La spada sparirà, le stelle invece resteranno, e ci saranno, le stelle, anche quando dalla terra saranno scomparse le ombre persino dei nostri corpi e delle nostre opere. Non c’è uomo che non lo sappia. Ma perché allora non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle? Perché?”
Relegare il proprio ego ai margini, celebrando la grande bellezza del creato o metterlo invece al centro di tutto, cercando di decifrarne i misteri, ma perdendo la grande occasione di ammirare lo spettacolo della vita. E’ questa la grande domanda. Io credo che la cosa giusta stia nel mezzo e credo anche che una frase come questa, tratta da una canzone dei Management del dolore post-operatorio che si chiama “Il cantico delle fotografie”, la spieghi bene:
“ L’infinito non ha fine / ma un inizio ce l’ha / L’ho capito stamattina all’alba / il suo inizio sta nell’occhio di chi guarda.”