C’era un angelo di cemento.
Pezzi grigi si spezzettavano come ricami muti di neve sulla bocca dopo una tempesta. Era al centro della chiesa. Colava di calcificazioni che si edulcoravano. I colori dentro la chiesa, mosaici: il grigio dentro gli occhi dell’uomo alato, l’arrivo di Dio prima che lo insignisse della morte del Paradiso. Un colpo di tosse partì dalla navata centrale sino alla croce. S’era leggermente mossa. Il peccato aveva perso il costato che l’aceto disinfettava.
La schiuma del corpo e il pus santissimo!
L’angelo spaccò l’involucro.
Non c’erano macchie, il liquido sbregato negli occhi ché piangeva. La commozione piegò le sue ossa che si estesero nei muscoli, allungandoli. Un’ostia tra le gengive, ne scippò un frammento per digerire anche quest’ultimo. Doveva subire resurrezione. D’un tratto una femmina gli prese la bocca e ne torse la materia per il sangue. Zittiva, il rimbombo del liquido crollato sul pavimento, il processo di nuova vita. S’allagavano le mattonelle e si ammorbava, in crescita di globuli rossi, l’ambiente. Il braccio destro ricoperto di armatura metallica e la mano di olio di cresima che zampillava dalla vena incolore.
Dove sei?