Oggi non parlerò di tolleranza, sia chiaro. Se volete comprensione, riflessione, dialogo, vi toccherà ripassare un altro giorno. Per oggi ho chiuso.
Ricordo quando ho letto la trilogia di Stieg Larsson, ed in particolare “Uomini che odiano le donne”; ricordo perfettamente, vi assicuro, che quando lessi della vendetta della ragazza che si arma di ago da tatuaggi per incidere la propria sentenza definitiva sul corpo del suo aggressore fui sopraffatta dal disgusto, esattamente come durante la scena dello stupro. Esattamente.
Una donna non dovrebbe scendere ai livelli della barbarie maschile. L’ho pensato, sì. Nella mia convinzione per cui noi donne dobbiamo e vogliamo e possiamo essere superiori agli istinti più bassi, l’ho pensato.
La violenza si abbatte su una, cento, mille donne, e noi ne parliamo piangendo, medicando ferite, ripensando a quando anche noi…perché chi fra noi donne non sa, esattamente, com’è e quanto possa essere sconvolgente, nella sua banalità e diffusione, la violenza sul nostro corpo? È questa democratica comunione nel sangue che ci rende sorelle, simili alle bambine violentate dai soldati in Liberia, alle neonate gettate nei cassonetti dell’India, alle prostitute minorenni costrette lungo i nostri civilizzati marciapiedi. E di questo parliamo senza sosta, parliamo di educare, di convincere, di dialogare, come noi donne sappiamo far così bene.
E gli uomini… oh, gli uomini evoluti, quelli che “io mai”, come ci comprendono: sui nostri organi mutilati, sulle nostre vite sorelle quotidianamente escisse, loro costruiscono inchieste, scrivono saggi che noi stesse lodiamo, talmente abituate ai pugni che non riceverne ci sembra già una carezza. Cieche al punto da non renderci neppure conto che, fino a che rimarremo cavie, numeri da statistica, non usciremo mai da questo laboratorio.
Però ne parliamo, tutte, con tutti: uomini d’animo sensibile, donne di indole forte, politici di ogni colore…parliamo fino a perderne la voce.
E l’abbiamo persa, infatti.
Dopo la sentenza che decretava che un essere che lascia una donna sfondata da un pugno o da una sbarra a sanguinare nella neve aquilana non ha intenzione di commettere omicidio, ma solo di avere un rapporto consenziente (tutte noi sappiamo che, in fondo in fondo, non desideriamo altro, no?) e merita anzi le attenuanti generiche, finalmente siamo rimasti senza parole. I nostri politici (uomini, donne, trans) muti, i mass media sopraffatti da Belenconlapancia e da MontiBerlusconiBersani e dal torneo delle Sei Nazioni.
Bei Ponzio Pilato, tutti a lavarsi le mani da un sangue che non è il loro, perché la vittima non è andata a piangere sulle poltrone della D’Urso, non si è fatta fotografare tumefatta (ma fresca di parrucchiere) nel suo letto di dolore. La vittima ha fatto solo la vittima, sostenendo il peso di un processo terribile, aspettando che i suoi organi interni cicatrizzassero. Non l’anima, no…per quella ci vuol tempo, se mai.
Paghi di questa modestia, tutti hanno taciuto, tutti. La condanna lieve (che sarà probabilmente alleggerita dai benefici derivanti dalla buona condotta) è pesantemente caduta in un silenzio complice e in quel fango senza parole è affondata.
E allora, alla fine di questa riflessione, mi sia permesso un pensiero scorretto ma di poche parole: non aveva poi torto Giuditta ad affondare la spada nella gola di Oloferne ubriaco, dopo averne sopportato l’abuso. Non ha esagerato Lisbeth a marchiare il pervertito che l’ha sodomizzata. Ah, no, davvero.
Se reagissimo, se anche noi usassimo la violenza, se uccidessimo per vendetta o per difesa anche noi forse diventeremmo bruti (al femminile sarebbe “brute”?) come l’altra metà del mondo, non lo nego.
Ma brute più intatte. E vive.