La caratteristica prima della letteratura dell’orrore è quella di mistificare la realtà, accostandola ad un’immaginazione che incarni tutte le paure dell’uomo. La rappresentazione di queste due verità diventa quasi surreale, come una lotta tra due entità che non possono appartenere allo stesso spazio-tempo. E la dualità, in tutte le sue forme, è uno degli archetipi principali di questo filone letterario che, da sempre, affascina e fa rabbrividire.
Zombie, fantasmi, demoni, vampiri e licantropi sono le figure fantastiche che spesso si ritrovano all’interno dei romanzi di genere, e il filone è sempre uno: l’eterna lotta tra bene e male. Ma in questo caso c’è una linea sottile che separa i due poli; sempre più frequentemente infatti avvengono delle contaminazioni tra le due parti. E, nel tempo, la figura che meglio rappresenta questa evoluzione è quella della donna. La narrazione horror trova nelle figure deboli (perlopiù donne e bambini) le vittime preferite dagli attacchi dei cosiddetti “mostri”, che ne sottolineano la vulnerabilità, uccidendoli o trasformandoli. In particolare, è proprio la donna a rappresentare l’oggetto di culto grazie alla sua estrema sensibilità fisica: indifesa e inerme. È così che appare la figura femminile in romanzi come Dracula di Bram Stoker o Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde. La forza, fisica perlopiù, dell’uomo si scontra con quella della donna, debole e quindi condannata a subirla. Ci si ritrova così dinanzi ad un personaggio, anche ai fini della storia, statico, impossibilitato ad evolversi.
Tra i più recenti romanzi, che raggiungono il picco nel genere con gli anni ’50 e un dopoguerra in cui la donna viene relegata a madre/moglie della società, basti ricordare L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, in cui la protagonista Eleanor subisce, fino al tragico epilogo, gli attacchi di un fantasma immaginario; anche in questo caso, la donna si muove a stento tra un passato doloroso e l’incapacità di reazione al presente, limitandosi a subire passivamente l’evoluzione dei restanti personaggi (mostri compresi).
Ulteriori elementi che caratterizzano le figure femminili sono poi quelli legati ad un velato erotismo che viene evidenziato nei momenti di massima suspense, quelli che precedono la morte o la trasformazione in mostro della vittima. Il corpo diviene in questo caso coprotagonista vero e proprio che veicola l’attenzione dello spettatore che, a sua volta, ne subisce un fascino quasi scontato. Ammaliante prima e deturpato e dilaniato poi, il corpo della donna è quasi un oggetto, filtro di emozioni, sia per la vittima che per il carnefice. Ed è proprio a questo punto che emerge quella dualità così preponderante di cui abbiamo accennato prima.
Gli anni ’60 rappresentano la svolta in questo senso, i cambiamenti sociali e politici a cui assistiamo si riflettono di conseguenza anche nella cultura, e dunque nella produzione letteraria che, mai come in questo periodo, si fa portavoce di pensieri, singoli e di massa, da dover diffondere. La mistificazione del corpo femminile muta la sua funzione, trasformandosi da oggetto a mezzo. La donna reagisce agli attacchi del proprio carnefice, usando le proprie peculiarità per sovvertire gli eventi: non più vittima inerme ma vittima/eroina che, consapevole delle propria forza, sfrutta l’unico potere che le viene messo a disposizione.
Ci troviamo di fronte ad un donna forte, a volte incattivita, e pronta a tutto pur di emergere dall’abisso della sudditanza in cui è stata gettata senza possibilità di appello. Vampiri, fantasmi e streghe. Le donne diventano questo e tanto altro ancora, ingannano i propri aguzzini e strappano via loro il comando. Ritorna la Carmilla di Sheridan Le Fanu, in cui donna non vuol dire più vittima ma carnefice:
Alla luce del sole non perdeva nulla della propria avvenenza; era senza dubbio la creatura più bella che avessi mai visto e la spiacevole somiglianza con il viso del mio sogno aveva perso l’effetto della prima, inaspettata scoperta
Ma dopotutto, quando il mezzo è il proprio corpo, dov’è la linea che separa l’essere vittima dall’essere carnefice?