Nel 1845 Marx compone le sue 11 tesi su Feuerbach che Engels pubblicherà postume nel 1888. Nessuno comprese allora tutta la carica dirompente di questi brevi appunti, e probabilmente sfuggì allo stesso Marx.
Nell’undicesima tesi egli scrive che sino ad allora i Filosofi si erano limitati a interpretare il mondo, ma adesso il loro compito era quello di cambiarlo.
Nessuno sino a quel momento era arrivato a mettere in discussione la natura della filosofia e del filosofo come teorico del pensiero. Marx lo aveva fatto, ma probabilmente temeva di essersi spinto troppo oltre.
Insomma Marx toglieva ai filosofi un solido punto d’appoggio.
Il primo punto della sua undicesima tesi si basa su una nuova idea di Storia. La Storia la fanno gli uomini in carne e ossa. Non c’è altro al di fuori di essa. Le idee funzionano solo e perché si traducono in azioni pratiche di trasformazione. La Filosofia non può più accontentarsi di assiomi permanenti, ma deve calarsi nel reale e mutarsi in quelle idee che l’azione collettiva degli individui trasforma in azione.
Il secondo punto riguarda le leggi sulle quali ogni filosofia precedente aveva articolato il proprio statuto. Queste si riassumono nella legge d’identità (A = A) e in quella di non contraddizione (A non può essere B). Se dico “il cavallo è un cavallo”, sono nel giusto, ma sbaglio se dico che il cavallo è un cane. Ovviamente le cose sono più complesse di quanto detto, ma credo di aver fornito esempi comprensibili.
In riferimento alla sua tesi, il mondo non è più determinabile univocamente, ma è il frutto di una trasformazione storica. Il presente ha in sé tutto il passato e tutte le possibilità del futuro e ognuno di noi appartiene a questo mondo, si evolve o regredisce, interagisce con altri uomini e donne, si fa portatore e carico di problemi d’esistenza. Marx ha intuito che il filosofo, che sino allora era vissuto in una torre d’avorio e avulsa dalla gente, adesso deve interrogare l’altro perché ogni uomo o donna di questo pianeta è sé stesso ma allo stesso tempo diverso rispetto a tutti gli altri e che il rapporto con l’altro diventa il fulcro intorno al quale deve ruotare il pensiero.
Gli anni a venire si sono incaricati di osannare o demolire Marx. C’è stato chi lo ha ritenuto una sorta di nuovo redentore e chi al contrario il precursore ideologico di un sistema mostruoso.
Ovviamente nessuna delle due posizioni gli fa giustizia. Una cosa è Karl Marx, altra il Marxismo.
Marx, come filosofo, ha il merito di aver parlato di alienazione come espropriazione (alienato è l’individuo a cui sono stati sottratti gli strumenti del lavoro), o del lavoro come merce (il profitto è una differenza tra il lavoro acquistato e la merce rivenduta), del proletariato urbano come nuova classe emergente, dello Stato come insieme di cittadini.
Poi ci sono le critiche che gli possono venir mosse. Una fra tutte quella di non aver portato la sua idea di Storia sino alle estreme conseguenze.
Certamente non è responsabile dei sistemi politici che in suo nome si sono costruiti (Marx non ha niente a che vedere con lo Stalinismo né con ogni sistema totalitario).
Se si comprende questo, è forse possibile ritornare alla sua filosofia con più lucidità.