Scene di vita quotidiana.
Scene che raccontano chi siamo. I libri, in questo, aiutano. Come? Romanzi che rispecchiano ciò che viviamo, racconti che cavalcano l’onda del momento. Paradiso, inferno. Crisi, felicità. Amore, omosessualità. Violenza, illusione.
Gli scrittori sempre più spesso si ritrovano a parlare di quello che vedono e che, a volte, neanche conoscono. Risucchiati dal vortice del richiamo della fama. Ah, la vecchia cara ispirazione.
La cultura è un mercato, e non di quelli in cui è possibile contrattare, ma di quelli che impongono cosa leggere e cosa scrivere. La libertà di raccontare è figlia dell’anonimato. La bravura viene divorata dalla legge del più forte. E ci ritroviamo a leggere “chi”, “cosa”, “come”?
«Sappiate scrivere, ma non leggere: non importa». Urlava in silenzio Andrea Zanzotto.
Creare collegamenti infiniti tra il chi si è e il ciò che si vuole diventare. Le proprie esperienze rivissute attraverso l’immaginazione; trasportare un riflesso nelle menti di chi legge.
Scene di vita quotidiana.
Non si scrive per se stessi, ma per gli altri. Dicono. Ma come si può scindere l’osservatore dall’oggetto osservato? Sarebbe come guardare un film con gli occhi di un altro, ascoltare una canzone in una stanza isolata dal mondo. Le parole sono incastrate nella mente di chi scrive, sono riflesso e proiezione, sono amore, odio, speranza, caffè, arte, cinema, sesso, bambini.
Le parole sono ciò che si muove intorno a noi.
La trasposizione personale e oggettiva delle cose, già. Perché l’oggettività dei fatti non prescinde dai personalismi. Eppure, abituati a divorare notizie su notizie, viviamo nella bolla dell’eccezionale, del sensazionalismo. Il riflesso dell’immaginazione sulla vita reale non è poi così lontano, anzi, l’arte sempre più spesso trae ispirazione dal quotidiano. Ah, l’ispirazione.
Vi è dunque una sottile linea tra la notizia e il racconto che si perde nella messa in onda dello scrittore e nella ricerca del lettore. Vittime e carnefici.
C’è comunque un modo per guardare negli occhi la propria mente e rivedere ciò che spinge alla creazione. La chiamano arte. In qualunque forma essa si presenti, qualsiasi sia il mezzo che utilizzi, l’arte altro non è che rappresentazione umana del pensiero sotto forma di “bello”, in quanto oggetto.
Scene di vita quotidiana.
Scene che distorcono, scene che raccontano, scene che evocano; lo stretto legame tra due menti dovrebbe essere quello che si forma nel momento in cui le parole prendono vita nella mente dell’altro. Ma sono solo parole. Il resto è tutto da scrivere.