C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato: c’era una volta un bambino proprio come voi, disubbidiente, ribelle, lunatico. Questo lo diremmo noi adulti barbogi: in realtà era solo un bambino, vivace e intelligente, forse sempre un po’ affamato. Sì, perché la sua famiglia era povera, tristemente povera. La mamma era una cameriera, il papà un cuoco, e questo bambino -chiamiamolo Carlo – ebbene, aveva tanti fratelli. Vivevano tutti in una grande città toscana, ma ben presto Carlo fu affidato ad una zia e andò a vivere nel paese di origine della madre, un paesino tra boschi e colline chiamato Collodi.
Qui il nostro Carlo riuscì a studiare, bene o male, con il sostegno della mamma Angelina e grazie alla generosità della ricca, ricchissima famiglia presso cui i suoi genitori lavoravano. Ad un certo punto, nonostante fosse così indisciplinato e ribelle, o forse proprio per questa ragione, fu inviato a studiare in seminario per diventare prete. Ma temo che ben presto tutti si resero conto che il ragazzo Carlo non era destinato a farsi prete.
Così, finiti gli studi, Carlo diventò giornalista, fondando un giornale di satira politica, “Il Lampione”, con l’intento di far luce a coloro che brancolavano nelle tenebre. Ma il carattere dell’ex bambino impertinente non era poi così cambiato: il granduca di quelle terre, indignato dal contenuto irriverente del quotidiano, ne ordinò immantinente la chiusura, spegnendo il lampione del nostro per molti anni.
Ma benché al buio, il giornalista Carlo non restò per questo in silenzio: continuò il suo mestiere piuma in resta, parlando di teatro nella rivista “Scaramuccia” (dove pubblicò anche brevi commedie) e scrivendo romanzi umoristici.
Fin qui -mi chiederete- cosa c’è di tanto interessante, a parte il lampione?
Aspettate, ora ci arriviamo.
Infatti un bel giorno, quando Carlo era ormai un omone con barba e baffi e pochi capelli, un editore gli chiese di tradurre delle fiabe francesi: per Carlo si dischiuse la porta su un mondo fantastico, dove il suo esser adulto e insieme monello trovava spazi insospettati e le capriole del suo carattere non infastidivano nessuno. Felice (e Felice Paggi era anche l’editore), si tuffò nelle parole magiche dei Racconti delle Fate e vi si trovò così bene che decise di restare lì. Così iniziò a scrivere libri per la scuola e libri per l’infanzia, come i libri dedicati a Giannettino, creati “modestamente per dare ai ragazzi una mezza idea di quell’Italia, che è la loro nuova e gloriosa patria, e che “per conseguenza” non ne sanno nulla di nulla.”
Tutto andava per il meglio fino a che non inciampò –udite udite!- in un ciocco di legno. Da lì in poi, quel ciocco di legno screanzato e bugiardo prese per mano il bambino Carlo (che era ancora vivo e vegeto dentro l’omone baffuto) e lo trascinò in un girotondo di vicende irreali, talvolta gioiose, talvolta paurose da cui il nostro amico non uscì mai più.
Ma io ho saputo da un Grillo Parlante che Carlo, laggiù, è molto felice.
P.S. Carlo Lorenzini, più conosciuto con lo pseudonimo di Carlo Collodi, nacque il 24 novembre 1826 e morì il 26 ottobre 1890 a Firenze.
Tutto il resto è favola.