“Mi piacerebbe dipingere un grande paesaggio moscovita – prendere elementi un po’ ovunque e unirli in un quadro – parti deboli e parti forti, mischiare il tutto così come il mondo è costituito da elementi diversi mischiati. Deve essere come un’orchestra.”
(Wassilij Kandinskij)
Diversamente da quello che si è creduto per un bel po’ di tempo la cd. età d’argento, ossia il periodo che intercorse tra la fine degli anni novanta dell’Ottocento e la Rivoluzione del 1917, non corrispose affatto ad un affievolirsi della creatività e della grandezza che avevano caratterizzato l’età dell’oro, di cui erano stati protagonisti Dostoevskij, Gogol’, Puškin e Tolstoj coi loro romanzi, quanto piuttosto ad un periodo di maggiore consapevolezza delle capacità creative dell’artista che si espresse, in particolar modo, nella poesia e nelle variegate forme che assunse nelle tre correnti poetiche principali: simbolismo, acmeismo e futurismo.
Per essere ancora più precisi, come sottolineò in un articolo del 1937 Vladimir Vejdle, quei vent’anni circa “videro il risveglio delle forze creative della chiesa ortodossa, una fioritura senza precedenti della coscienza storica russa, una ripresa nel campo della filosofia, della scienza, della letteratura, della musica, della pittura, del teatro”. Tutte le discipline furono poste sullo stesso piano accumunate da quello “stupefacente rinascimento dello spirito” che emerse prepotentemente in quegli anni.
In questo senso un ruolo di primo piano, spetta sicuramente a Wassilij Kandinskij il quale, alla ricerca di un nuovo linguaggio pittorico, l’astrattismo, rivoluzionò l’arte svincolandola dal compito di riprodurre la realtà visibile partendo dal presupposto che la forza dei colori rendesse superfluo l’oggetto e poiché, come molti poeti simbolisti, era convinto che le arti fondate sulla percezione sensoriale si compenetrassero tra loro, la sua ricerca confluì spesso in sintesi di pittura e poesia, intese entrambe come strumenti per superare il pensiero materiale. Tra il 1908 e il 1912 pubblicò 38 poesie accompagnate da silografie (considerate da Kandinskji “poesie senza parole”) a colori ed in bianco e nero, col titolo di Suoni. Per Kandinskij, infatti, i colori non erano legati tanto agli oggetti quanto ai suoni e i colori, insieme ai suoni e alle parole, avevano il compito di portare lo spirito ad una sfera percettiva superiore, arrivare a quella che definiva “la spiritualità dell’arte”.
Il cavaliere azzurro, azzurro come il colore del cielo e delle forze spirituali, Der Blaue Reiter, pubblicato nel 1912, è la personificazione delle virtù magiche-romantico-fiabesche, nonché simbolo della ricerca e dell’avvento di una nuova era che verrà alla luce dalla lotta dello spirituale contro il materiale. La lotta contro il drago (San Giorgio) era presente nell’iconografia russa, nell’opera di Kandinskij e nell’arte popolare bavarese e non è un caso che l’almanacco, insieme a saggi sulla pittura, la musica, il teatro, contenesse riproduzioni di questo tipo di arte, nonché pitture cinesi, disegni a china giapponesi, giochi d’ombre egiziani, sculture del Camerun e del Messico. Lo stesso Kandinskij aveva fatto numerosi viaggi all’estero. Nel 1909 era stato a Tunisi e aveva riportato le sensazioni di quei viaggi nelle opere di quegli anni, come Improvvisazione 6 africana, Impressioni orientali, Impressioni arabe I, Composizione II Tappeti musulmani. Nel 1910, nella veste di critico d’arte, per la rivista Apollon, espresse il tuo interesse per l’arte dell’Oriente: delle silografie giapponesi apprezzava il “suono interiore” , delle miniature persiane il completo distacco dalla realtà oggettuale e la “primitività” del colore.
Quando Sullo spirituale nell’arte uscì nel 1914 non mancò di avere influenza sui contemporanei con cui Kandinskij aveva stretti rapporti come Kazimir Malevič il quale, partendo dai dipinti neoprimitivisti, giunse alla sintesi del Quadrato nero su fondo bianco definito dall’artista stesso “una nuda icona senza cornice del mio tempo”, cioè la liberazione totale dall’oggetto, ossia il suprematismo cioè la “supremazia della sensazione pura nell’arte”.
L’attrazione per l’arte primitiva, coinvolse in quegli anni altri esponenti della pittura russa come Michail Larionov, tra i fondatori del neoprimitivismo russo che, con la ricerca delle lubki, immagini a tema religioso e favolistico della tradizione popolare russa, contribuì a far conoscere lo spirito più autentico della sua terra, con lo sguardo costantemente rivolto ad Oriente rispetto all’Europa (proprio per questo, nonostante fu definito il padre del futurismo russo, ebbe sempre un rapporto conflittuale con il futurismo così come inteso in Occidente) o come Natal’ja Gončarova, compagna di Larianov, che trovò il primitivismo nelle icone e nelle stampe popolari, allo stesso modo in cui i poeti di quegli anni lo trovarono nella mitologia e nelle antiche lingue slave. È il caso di Velimir Chlebnikov, uno dei principali poeti futuristi, il cui stile fu caratterizzato dallo sperimentalismo, attraverso la lingua poetica detta zaum, e dalla visionarietà ed elevatezza dei contenuti, cosa gli valse l’appellativo di “un poeta per poeti”. Egli mise insieme le due tendenze contrapposte della cultura russa: il nuovo e l’antico, l’avanguardia e la tradizione, elementi che furono il tratto distintivo del futurismo russo e gli diedero uno spessore culturale maggiore rispetto a quello europeo.
E se in quegli anni Aleksej Remizov si faceva notare per la sua predisposizione per il racconto-fiaba ispirato all’antica letteratura russa come Fiabe di Asyk, zar delle scimmie o Fiabe del popolo russo, Konstantin Bal’mont era un simbolista puro, noto per l’estrema musicalità dei suoi componimenti come nella raccolta Siamo come il sole. Il poeta viaggiò per il mondo: Egitto, Indonesia, Messico, Perù e, proprio come Kandinskij faceva con la pittura, trasformò le impressioni e le sensazioni in versi che rimandavano ai canti dei popoli che aveva conosciuto. Non è un caso che molte sue poesie furono trasposte in musica e ispirarono i più grandi compositori dell’epoca.
I richiami alla musica e al colore non mancarono neppure in Andrej Belyj autore di Sinfonie in prosa poetica e Oro in azzurro i cui versi assumono anche una connotazione mistica, nella concezione del poeta quale creatore di miti. E, ancora, in Nikolaj Gumilev, principale esponente dell’acmeismo, che viaggiò molto, specie in Africa, e riportò quelle atmosfere esotiche nelle sue raccolte come Fiori romantici, Le perle, Cielo straniero.
La mostra L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente. (dal 27 settembre 2013 a 19 gennaio 2014, presso Palazzo Strozzi, Firenze) riconosce per la prima volta a livello internazionale il ruolo fondamentale dell’Oriente nel modernismo russo, e l’attrazione della cultura russa per il primitivo, il tradizionale, l’esotico, che coinvolse tanto la letteratura che la pittura, per il ruolo fondamentale che la cifra spirituale assunse in tutte le forme d’arte dell’epoca.
Come scrisse Vladimir Vejdle, l’età d’argento fu “un’età che non tanto creò, quanto fece rivivere e riscoprì” una profonda fede nell’arte e nella forza della parola, peculiarità dell’immensa cultura della Russia.