Manuela scese in cucina con l’aria assonnata, il pigiama invernale troppo largo che le cadeva dalle spalle e dai fianchi come un sacco della spazzatura. In cotone, però. Era dimagrita troppo, glielo dicevano tutti, ma che volevano? Non aveva visto le sue ossa per anni, ora che ci riusciva voleva osservarle bene prima di farle scomparire nuovamente sotto uno spesso strato di adipe. Le sue ciabatte frusciavano sonoramente sul parquet rigato dalle scarpe da ginnastica (Ma tanto che glielo dico a fare di togliersele, non lo fa mai) e precedevano il suo piede minuto ad ogni passo.
Manuela, come ogni mattina, non aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio. Non si era struccata la sera prima, né si era pettinata prima di scendere. Accarezzò i ricci sfatti sopra alla fronte e ripensò a quando, da bambina, si divertiva sadicamente a distruggere i nidi dei merli in mezzo ai cespugli. Sbuffò e si sfregò gli occhi.
Come sospettava, Kevin era già sceso e leggeva le notizie dai quotidiani sul suo tablet bianco. Che colore orribile. Così sporco. Leggeva e, nel frattempo, spalmava su delle fette biscottate la marmellata all’arancia di cui va ghiotto e che sua madre prepara in quantità da campeggio appositamente per lui. Spalmava, controllava che la marmellata fosse stesa in maniera perfettamente omogenea e poi l’addentava, masticandola rumorosamente.
Crunch, crunch, crunch.
Manuela odiava quel rumore che la cucina vuota restituiva alle sue orecchie con un’eco insopportabile. Avrebbe voluto premere fortissimo i palmi delle mani sulle orecchie e gridare “Basta, basta!”, ma non lo fece. Crunch, crunch, crunch.
“Buongiorno, cara”, quasi sussurrò Kevin mentre controllava l’ultima fetta biscottata spalmata di marmellata. La aggiustò brevemente su un lato con il coltello per renderla quasi perfetta e la addentò con un mugolio di piacere.
“Mmmgg”, fu il suono che uscì dalla bocca di Manuela in risposta al buongiorno del compagno. Gli si avvicinò tentando di ignorare il fastidio accentuato dal risveglio traumatico e si sedette di fronte a lui. Kevin non la guardò e continuò a leggere e mangiare.
“Ti odio”. Manuela sputò queste parole proprio sopra alla torta che la suocera aveva preparato loro il giorno prima. Caddero sulla glassa zuccherata senza far rumore, pesanti e velenose.
“Lo so”, fu la risposta di Kevin, che continuò a masticare senza distogliere lo sguardo dal tablet. “Me l’hai detto anche ieri”.
“Mi odi anche tu, vero?”.
“No, cara, per niente. Sei tu che ti odi”.
“Menti”.
“Oh, no. Non odi me, ma non sei abbastanza coraggiosa per dire a te stessa la verità.”.
Crunch, crunch, crunch.
Piangeva, ora. Aveva lanciato un sasso, ma il muro di Kevin l’aveva fatto cadere, uscendone illeso. L’unica ad essersi fatta male, a farsi male, era lei. Con il sale delle lacrime, il taglietto che si era fatta un paio di giorni prima sopra allo zigomo le bruciava.
Abbassò lo sguardo e osservò la maglia del pigiama che nascondeva il suo corpo spigoloso. Aveva perso diciassette chili nel giro di tre mesi. Alzò un braccio ossuto e lo poggiò sul seno inesistente, sul ventre piatto e, infine sulle ossa del bacino che sporgevano oltre la pelle tesa. Quante volte le avevano offerto il loro aiuto, quante volte li aveva cacciati da casa sua fino a rimanere completamente sola?
Lei e Kevin non dormivano nello stesso letto da più di sei settimane. Nonostante tutto, però, lui era lì, ancora lì, a fare colazione davanti al suo tablet e aspettando di poterle dare il buongiorno prima di andarsene a lavoro. A volte arrivava in ritardo, perché capitava che Manuela si alzasse più tardi del solito, ma lui non ce la faceva a lasciarla a casa da sola senza averla vista prima di uscire.
Manuela rialzò lo sguardo e lo fissò su quello del suo compagno. Questi posò i suoi occhi azzurri sul suo viso e aspettò. “Aiutami”, sussurrò Manuela.
Kevin si alzò, camminò attorno al tavolo e la cinse con le braccia, circondandole le spalle. Pose la testa nell’incavo del collo di lei e cominciò a carezzarle piano il viso.
“Non ti odio, no, non ti odio. No, no…”.
“Va tutto bene. Sono qui. Shhh, sono qui.”.