Di manuali di letteratura italiana ne abbiamo un po’ piene le tasche. Gli studenti crescono tra i banchi di scuola prima, dell’università dopo, con un inevitabile accenno di scoliosi: libri enormi di storia della letteratura, pesanti come macigni. Sebbene l’approccio critico di ciascuno di questi sia differente, a seconda degli autori e della loro formazione umanistica, tutti – senza eccezioni – presentano una forma standard: un quadro storico di riferimento, una parte teorica che introduce elementi letterari fondamentali come le innovazioni in fatto di genere (poesia, romanzo, racconto, saggio), piuttosto che i nuovi temi che caratterizzano il periodo preso in considerazione, e poi i grandi autori. Di questi, attraverso date e particolari finissimi, iniziamo a conoscere i passi che hanno segnato le loro straordinarie vite nonché carriere. Segue l’opera tutta, un mastodontico mosaico di ogni scritto di cui si abbia memoria. Lo studente fa pratica con libri di questa portata, e si trova inevitabilmente a pensare che, aldilà del gusto personale e delle tendenze verso un genere letterario o verso un altro, i suoi studi lo porteranno ad incontrare giganti indiscussi che si sono passati il testimone (o spesso rubati il testimone l’un l’altro).
Ebbene, è proprio il concetto di “indiscusso” che va rivisto. Non tutti gli autori presenti nei manuali sono dei talenti indiscussi, o perlomeno questo è ciò che sostiene Marco Cimmino, autore del libro Il flauto rovescio, vera e propria controstoria della nostra letteratura. Vengono sfatati falsi miti, viene riformulato il parere su alcuni dei nomi più autorevoli della tradizione, in una prospettiva nuova e sicuramente originalissima. Si pensi ad esempio all’Ermetismo e ad Ungaretti, mostro sacro della poesia italiana: la sua poesia fu, secondo Cimmino, autoreferenziale, di buon gusto ma non tra le migliori del secolo. E così via. Le critiche non toccano soltanto la parte riguardante i riconoscimenti conseguiti, ma anche eventuali compromessi che – aldilà della bravura inequivocabile – alcuni fra i nomi più noti (si pensi a Calvino) hanno dovuto affrontare perché la carriera avesse una strada spianata.
Da questa prospettiva, un approccio superficiale è da escludere, perché si rischierebbe di minare dalle sue stesse basi una mastodontica tradizione letteraria che ha precedenti illustri (non solo per sentito dire). Fatto sta, però, che se si continuasse a guardare a tutta la letteratura con uno sguardo mai svecchiato e sempre accademico, si finirebbe, d’altra parte, a rimanere fermi, a non aggiungere mai nulla alle conoscenze che critici del passato hanno apportato all’interno di quei famosi manuali. Se invece la critica letteraria si rinnovasse, e aprisse le porte ad una dialettica costruttiva, in cui si tenta di ridisegnare la storia generale di questi grandi uomini, probabilmente non si trarrebbero altro che vantaggi. E gli studenti porterebbero sulle spalle quel peso con più leggerezza.