Il 18 luglio del 1918 nasceva in un villaggio del Sudafrica orientale un bambino: era uguale a tutti, e come tale avrebbe voluto essere trattato. Non conosceva la divisione tra bianco e nero, la sua sarebbe stata per sempre una vita colorata da sfumature.
Appartenente ad una famiglia aristocratica, secondo il sistema di caste vigenti in Africa, a poco più di 20 anni fuggì dal suo villaggio, ribellandosi al capo tribù che lo aveva già assegnato ad un matrimonio combinato come da tradizione.
Questo fu soltanto il primo passo verso mete allora neanche immaginabili per un uomo di colore: riuscì brillantemente a laurearsi in legge frequentando le scuole per studenti neri, per poi entrare presto in politica, divenendo la colonna portante dell’Anc, l’African National Congress, il partito che sotto la sua guida sconfiggerà l’apartheid.
Il Sudafrica di cui parliamo era un paese che offriva ben poco ai suoi stessi abitanti (almeno a quelli presenti lì da generazioni): la segregazione razziale utilizzata come discriminante per privare di diritti fondamentali l’intera popolazione di colore, era pane quotidiano che ognuno doveva addentare. Quasi ognuno.
Mandela combatté su ogni fronte con scioperi e manifestazioni: nel 1960 vi fu l’episodio che segnò per sempre la vita del leader. Il regime di Pretoria diede corpo al “massacro di Shaperville”, eliminando volontariamente con una vergognosa operazione 69 membri dell’ANC.
In seguito, l’intera associazione fu dichiarata fuorilegge. Il giovane Nelson sopravvisse alla strage riuscendo non solo a fuggire, ma anche a riorganizzare una piccola frangia militarista per combattere gli abusi del governo.
L’esperimento durò poco, dato che venne arrestato più volte fino al 1964 quando, con la duplice accusa di sabotaggio e di alto tradimento, fu condannato all’ergastolo che avrebbe dovuto scontare nel penitenziario di Robben Island.
Durante gli anni di prigionia, però, il tentativo di farlo tacere si dimostrò più che fallimentare, trasformandosi in un’arma a doppio taglio per il regime repressivo sudafricano. L’11 febbraio del 1990 il detenuto numero 46664, divenuto simbolo della lotta per i diritti degli oppressi, venne liberato, divenendo presidente dell’Anc. Entrò in carcere a 46 anni per uscirne solo a 71, dopo quasi 27 anni passati in cella, condannato ai lavori forzati.
Iniziò per il neo-presidente la costruzione di un’unità nazionale. Nel 1993 ricevette il premio Nobel per la Pace, nel ’94 fu finalmente Presidente del Sudafrica dopo le prime storiche elezioni in cui votarono anche i neri.
La sua vita privata non fu affatto più semplice di quella pubblica, dato che ebbe tre mogli: della prima consorte sappiamo ben poco, mentre la seconda fu la celebre Winnie, definita “madre della nazione africana” per i suoi molti interventi positivi nella scena politica del continente. Dopo alcuni scandali che investirono la donna, nel 1997 i due decisero di separarsi con un divorzio legale. Mandela, sebbene ottantenne, si risposò con Gracia, più giovane di lui di trent’anni e vedova del presidente del Mozambico, assassinato in un incidente aereo organizzato dai servizi segreti del regime segregazionista bianco.
Nel giugno 2004, alla veneranda età di 85 anni (in Italia sarebbe stato un comportamento atipico per un Presidente), ha annunciato il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia.
Dopo questo periodo di serenità, Madiba, questo il suo soprannome, ha affrontato l’ultima lotta della sua vita accettando la morte come estrema vittoria.