Pare che in un mercato di Napoli, in tempi non troppo lontani, faticassero due venditori ambulanti: l’uno d’aceto e l’altro d’ombrelli, e chiunque fosse solito frequentare quel mercato conosceva le loro voci.
«Aceto! Aceto!» alluccava il primo, promuovendo la propria merce. Dalla parte opposta della piazza, invece, si alzava forte il verso di quell’altro: «Paracqua! Paracqua!», strillava.
Ecco, va da sé che non c’era malizia nel richiamo altisonante del venditore d’ombrelli, che altro non faceva se non attirare i compranti verso il proprio bancariello. Ai più, però, quella voce suonava come un affronto nei riguardi del povero venditore d’aceto, il cui prodotto sembrava venire disprezzato a pieni polmoni, paragonato alla mera acqua.
E così tutto il giorno, tutti i giorni. Aceto!, urlava il primo; Paracqua!, rispondeva il secondo.
Aceto, paracqua, aceto, paracqua e gli strepiti dei due mercanti approdarono in luoghi ben più distanti di quanto le loro voci potessero raggiungere.
Non è dato sapere se i due fossero al corrente del plateale fraintendimento, se il venditore d’aceto, risentito dell’affronto, decise poi di vendicarsi o se, come spesso accadeva, quella era solo una colorata messinscena da strada.
Aceto! Paracqua! è quel che ci è rimasto. A buon intenditor duecento parole.