Fernando Pessoa: uno, nessuno e centomila.
Definito da Bloom “uno dei poeti più rappresentativi del XX secolo”, Pessoa ha una personalità complessa, difficile da tracciare e impossibile da ricostruire attraverso la sua opera. Per tutta una vita, il poeta di Lisbona ha giocato con gli eteronimi, identità inventate, che assumono autenticità grazie alla creazione artistica, che differisce e si distingue da quella dell’autore originale. I tre eteronomi più noti, quelli con la maggiore opera poetica, sono Alvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro. Scriveva Pessoa:
Con una tale mancanza di gente coesistibile come c’è oggi, cosa può fare un uomo di sensibilità, se non inventare i suoi amici, o quanto meno, i suoi compagni di spirito?
E come tutti gli uomini di sensibilità, il poeta conobbe/non conobbe l’Amore. Si chiamava Ofelia Queiroz e lo aspettò tutta una vita, aspettò che il poeta con gli occhi rivolti alle stelle, fosse capace di abbassare lo sguardo e capire che il senso dell’esistenza si può cogliere anche negli occhi di una donna innamorata, nella fusione di due anime. Pessoa imparò questa lezione troppo tardi, alla fine della sua vita; e si prese in giro, con una poesia bellissima:
Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.
(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).
In quel “ridicole/ridicoli” che torna più volte nei versi, si legge tutta la malinconia, la presa di coscienza di un uomo che ha capito, probabilmente, la potenza del sentimento umano-divino che unisce due corpi e ne restituisce uno, che richiede coraggio, un coraggio che può mancare per tutta una vita. Roberto Vecchioni omaggiò Pessoa con una delle sue canzoni più belle: “Le lettere d’amore (chevalier de pas)”:
Fernando Pessoa chiese gli occhiali
e si addormentò
e quelli che scrivevano per lui
lo lasciarono solo
finalmente solo…
così la pioggia obliqua di Lisbona
lo abbandonò
e finalmente la finì
di fingere fogli
di fare male ai fogli…
e la finì di mascherarsi
dietro tanti nomi,
dimenticando Ophelia
per cercare un senso che non c’è;
e alla fine chiederle “scusa
se ho lasciato le tue mani,
ma io dovevo solo scrivere, scrivere
e scrivere di me…”
Si racconta, infatti, che l’ultima richiesta di Pessoa, in punto di morte, fossero i suoi occhiali (soffriva di una grave miopia). Vecchioni immagina il poeta accerchiato dai suoi eteronimi, le sue infinite personalità, che lo lasciano solo dopo aver esalato l’ultimo respiro. Lisbona piange e i fogli bianchi sono destinati a restare tali, nessuno più potrà caricarli di parole. E il poeta fa i conti con le mani di Ofelia, che ha lasciato perché era troppo impellente il bisogno di “scrivere, scrivere e scrivere di me…”.
e le lettere d’amore,
le lettere d’amore
fanno solo ridere:
le lettere d’amore
non sarebbero d’amore
se non facessero ridere;
anch’io scrivevo un tempo
lettere d’amore,
anch’io facevo ridere:
le lettere d’amore,
quando c’è l’amore,
per forza fanno ridere.
E costruì un delirante universo
senza amore,
dove tutte le cose
hanno stanchezza di esistere
e spalancato dolore.
Ma gli sfuggì che il senso delle stelle
non è quello di un uomo,
e si rivide nella pena
di quel brillare inutile,
di quel brillare lontano…
e capì tardi che dentro
quel negozio di tabaccheria
c’era più vita di quanta ce ne fosse
in tutta la sua poesia;
e che invece di continuare a tormentarsi
con un mondo assurdo
basterebbe toccare il corpo di una donna,
rispondere a uno sguardo…
e scrivere d’amore,
e scrivere d’amore,
anche se si fa ridere;
anche quando la guardi,
anche mentre la perdi,
quello che conta è scrivere;
e non aver paure,
non aver mai paura
di essere ridicoli:
solo chi non ha scritto mai
lettere d’amore
fa veramente ridere.
Le lettere d’amore
le lettere d’amore,
di un amore invisibile;
le lettere d’amore
che avevo cominciato
magari senza accorgermi;
le lettere d’amore
che avevo immaginato,
ma mi facevan ridere
magari fossi in tempo,
se avessi ancora il tempo
per potertele scrivere…
Emerge in primo piano un universo costruito senza amore da un uomo che aveva alzato gli occhi troppo in alto,che si era lasciato sfuggire il senso della vita dell’uomo che non ha niente a che vedere con il “senso delle stelle”. Il più grande rimpianto è quello di non aver risposto a uno sguardo, di non aver capito che solo chi non è capace d’amare, solo chi non è mai stato capace di scrivere d’amore … è ridicolo.