Devo essere io.
Quello in foto ha i miei occhi. Solo che la donna in abito bianco non so più dove sia. Chissà chi era. Mia moglie, suppongo. Poi quei due ragazzi. Che bella, lei. Assomiglia alla donna della prima foto. E lui sembro io da giovane, solo più gracile. Forse erano a un concerto.
La donna in nero. Uhm. Forse una madre. Forse la mia. Ma proprio non ricordo.
In realtà non è la sola cosa che mi è sfuggita di mente. A volte ho dei lampi. Sento una musica, e rivedo qualche immagine. Penso a un film, una vacanza, una festa di tanti anni fa, una mattinata cominciata in auto e finita in ospedale. Solo lampi, nel buio.
Guardo il documento nel portafogli e stento a riconoscermi. Casa mia sembra un luogo estraneo. Ho paura di parlare. La gente intorno mi tratta senza pazienza, come se fossi malato. E forse lo sono, vai a sapere.
Leggere è diventato faticoso. Perché alcune parole mi fanno guerra, sono diventate ostili, appiccicose come colla. Mi si attaccano agli occhi, e mi consumano l’attenzione. Arrivo a pagina 100, poi mi perdo. Perché smarrisco per strada i nomi dei personaggi, le vicende.
Ma non mi sorprendo più. Perché da un po’ devo tenermi la mano destra mentre afferro il cucchiaio di pastina. Non mi sazio facilmente. Perché dimentico anche di aver mangiato. Dimentico di essere andato in bagno. A volte ne rido, ma intorno hanno tutti una brutta faccia. Oddio, spero non sia grave.
Chiunque dimentica l’auto in parcheggio, no? A me capita sempre. Già, io neanche ce l’ho più, cosa la cerco a fare. Vero. Me lo dicono, e mi dispiace perché mi fanno sentire uno stupido, un poveraccio.
Eppure ora mi sento più libero.
Devo essermi consumato il cervello a pensare sempre tutta la vita ai problemi. La vita. In fondo, se tutto quello che ho fatto è in frantumi, se neanche riesco più a distinguere tra chi amo e chi volevo vedere morto, tra quando sto male e quando invece la testa mi funziona…insomma, ehi, ma se non c’è più una differenza, forse non c’è mai stata una differenza, forse il mondo è davvero uguale al brodo che bevo ogni santo giorno, come un malato di stomaco.
E se è tutto come silenzioso, assonnato, posso continuare anch’io a stare zitto, parlando solo con gli occhi, per aver paura di ammettere che non ricordo più chi sono.