…occorre essere attenti per essere padroni di se stessi, occorre essere attenti e scegliersi la parte dietro la Linea Gotica…
Nell’album Linea Gotica, capolavoro della musica italiana degli anni ’90, Gian Lindo Ferretti dei C.S.I (Consorzio Suonatori Indipendenti) ha voluto dare il suo contributo, con palese partecipazione ed eloquente commozione, all’opera di Giuseppe Fenoglio.
Beppe, per niente stupito della sua Alba assediata, diede voce al proprio dolore con la forma delle parole, abusate e trovate sull’orlo increspato della guerra e della dissoluzione, lasciando perdere ogni rinvio e rimando d’ogni tipo, e concentrandosi sulla bestialità dell’uomo e sul suo girovagare da imperatore e colonizzatore assetato, goffo e futile.
Impossibile precludere a noi lettori mentre tentiamo di cimentarci nell’opera di Fenoglio l’amore per la letteratura. Una letteratura, si badi, che ha il sapore della terra sregolata, della polvere, del sangue. Come tutti sanno, la letteratura, oggi, è oggetto inutile. Ma come ogni cosa inutile ad occhi indiscreti, l’autenticità della letteratura, in quanto denigrata ad oggetto che non potrà essere utilizzato, proprio per la sua caratteristica congenita di diversità, sembra rimanere intatta e permanere col tempo.
Ecco, quando si parla di Fenoglio ci rivolgiamo esclusivamente a quel tipo di letteratura. Nessun compiacimento fine a se stesso per quest’uomo, ma l’ammirazione nei confronti di chi è stato “partigiano” fino all’ultimo, partigiano di chi ha sofferto, partigiano dei suoi amici o contro i presunti tali, partigiano nel dolore della malattia, partigiano per un paese libero in un paese occupato. Cantore di partigiani non soldati, di chi si è creduto un condottiero, così geniale e dilettante allo stesso tempo per una parata tanto selvaggia quanto crudele e violenta.
Ne I ventitrè giorni della città di Alba – la prima opera organica, oltre che prima raccolta di racconti, pubblicata nel 1952 – più poeta che narratore, si muove chi ha abbandonato la facoltà del sentire e del non guardare, spinto solo da ragioni personali. Direbbe lui “una questione privata”. Nella vita a volte gli uomini abbandonano il buon senso, ogni logica o sofismo, tutta la retorica dell’etica e del buon costume, ogni strana opinione, lasciandoci il senso non della rivolta, ma della drammaticità in essa contenuta, la compassione dei morti, di chi è caduto trafitto, perché i morti non hanno simboli, e ne bandiere da sventolare.
Nella narrativa breve credo ci sia la sintesi della sua poetica. L’analisi dei romanzi, nonostante pregevole, lascia il posto alla sintesi del racconto, una ricerca più sul piano motivo che su quello intellettuale. In Fenoglio, come in tutta la grande letteratura, i problemi ultimi dell’Arte, le Domande e le tentate Risposte sono amalgamate tutte nella sua opera: il destino, la morte, la pace, la violenza, l’amicizia, l’amore e il tradimento, il bene e il male.
È stato partigiano, ha sofferto e ha pianto, bestemmiato e sputato sangue come pochi, ha vissuto giorni che sicuramente gli saranno rimasti nel sangue, sublimandoli nell’opera d’arte senza orpelli e retorica. I ventitré giorni costituiscono
l’epopea della resistenza che finalmente riusciamo a vedere per la prima volta tradotta in cifra letteraria senza sprechi e inutili apologismi.
Tutta l’opera, come le intenzioni dell’autore, è perfettamente riassunta nell’incipit del racconto omonimo. Protagonista del racconto è la città stessa. Vi sono i partigiani, i repubblicani, i fascisti, i capi e i gerarchi, le ragazze e i borghesi, la gente, i cittadini; oppure il Comandante della piazza, il Federale di tutto il Piemonte, il parroco, il prete della Curia, quel partigiano semplice, e così via, ma nessuno ha un volto, nonché un nome…
In pagine commosse e cariche di poesia, Fenoglio sposta l’attenzione sul disagio sociale e psichico di molti ragazzi nell’immediato dopoguerra, tra cui il suicidio e la disoccupazione.
Verso la fine, con L’odore della morte Fenoglio racconta con acume le conseguenze che subirono moltissimi prigionieri deportati in Germania, nei campi di concentramento. Narra dell’equivoco di un ragazzo: mentre aspetta la propria fidanzata la scambia con un’altra, venendo assalito dal fidanzato di quest’ultima, un uomo che durante la guerra era stato deportato in Germania e ne è tornato gravemente malato. La guerra come scenario della miseria e della rassegnazione umana.
Alla sua uscita, I ventitré giorni della città di Alba scatenarono una polemica riguardante l’immagine poco edificante che trasmisero della Resistenza. Oggi, non si può invece non ammirare la lucidità di Fenoglio, la sua capacità lungimirante di racchiudere in poche pagine il feroce carattere del popolo italiano, l’impavido coraggio ma anche la tragedia di molti uomini, del commiato di un’epoca difficile e contraddittoria con unanime cordoglio.