Chi di noi non associa automaticamente il nome di Alessandro Manzoni a I Promessi Sposi ? Non potrebbe essere altrimenti, penserà qualcuno di voi. Troppo ingombrante è stata la fama che ha riscosso nel mondo la commovente storia di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella.
Eppure l’arte di Manzoni è anche altrove. Non solo tra le pagine di quel romanzo. Viene quasi da sorridere a definire “opere minori” l’Adelchi, il Conte di Carmagnola, gli Inni Sacri, le Odi. Ma è il destino che tocca a chi crea qualcosa di immortale. È accaduto qualche secolo prima anche a Dante Alighieri. Se non avesse creato La Divina Commedia, il poeta fiorentino sarebbe ugualmente passato alla storia per opere di capitale importanza nella storia della letteratura: Il Convivio, La Vita Nuova e il De vulgari eloquentia. A queste opere, purtroppo, è toccata la concorrenza della Commedia.
Straordinario saggio della sensibilità poetica di Manzoni, Il Cinque Maggio viene steso di getto (caso unico nell’attività letteraria dello scrittore) alla notizia della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta in esilio sull’isola di Sant’Elena il 5 maggio del 1821. La notizia viene letta, e resa così pubblica, sulla “Gazzetta di Milano” più di due mesi dopo, in pieno luglio. Quale differenza rispetto ad oggi, nell’era mediatica in cui Internet divulga notizie praticamente in tempo reale!
L’ode lascia palesemente trasparire il fascino di un personaggio che certamente non lascia indifferenti. L’eroe che si era lanciato alla conquista del mondo, novello Alessandro Magno, e che si era posto come arbitro tra due secoli/l’un contro l’altro armato, riemerge nella poesia manzoniana in fin di vita, in esilio a Sant’Elena, sotto il segno della sconfitta e della morte.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale
Sono tra i versi più conosciuti di tutta la letteratura italiana. L’ “uom fatale”, come Manzoni lo definisce, secondo alcune voci avrebbe ricevuto, proprio poco prima di morire, i sacramenti cristiani. Lo scrittore, profondamente colpito da ciò, costruisce così le sue strofe immaginando un eroe che diventa uomo, e che negli ultimi istanti di vita approda nella pace della fede religiosa che lo libera dalle passioni terrene e lo proietta nella speranza della morte cristiana.
Anche la vicenda di Napoleone (nei confronti del quale – è bene precisarlo – Manzoni non aveva mai nutrito simpatia) rientra nell’ imperscrutabile piano della Provvidenza, cardine della poetica manzoniana.
È un canto di speranza. E, ci piace pensare, un’esaltazione della “democrazia” della morte (sì, proprio così), l’unica cosa che accomuna tutti gli uomini, i re e il popolo, gli imperatori e i miseri. Il tutto sotto la luce, ovviamente, della fede cristiana, celebrata in quei meravigliosi versi finali che sanciscono il suo trionfo. Ma questa volta c’è da gioire di più – sembra dirci il poeta – questa volta, a chinarsi alla Croce, non è stato uno chiunque. Ma Napoleone Bonaparte.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
chè più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò