Non ho il tempo di parlare di molte belle letture dell’ultimo mese. Ne cito un paio, magari a qualcuno viene la curiosità di andare a vedere di che si tratta: Il commesso di Bernard Malamud (edizione italiana Minimum fax), Il diario di Edith di Patricia Highsmith (edizione italiana Bompiani). Scelgo di dire qualcosa di più del romanzo di Simone Giorgi, L’ultima famiglia felice (Einaudi, 2016), freschissimo di stampa. Non ricordo bene come mi sono imbattuta in questo libro, una recensione, forse? Sono stata colpita subito dal titolo (eh, la famiglia, la famiglia, con tutti i suoi attorcigliamenti e i guasti e i veleni e le certezze e il calore e il senso di protezione, rifugio e fossa dei serpenti eccetera eccetera), così sono andata in giro in rete a curiosare. Ah, ecco, mi pareva di avere già sentito qualcosa, si tratta di un romanzo segnalato al Premio Calvino del 2014. L’ho letto e ne sono stata conquistata. Quest’opera di un esordiente dalla mano sicura – la sensazione è che il mestiere di scrivere lo pratichi da anni – racconta una storia molto semplice, una storia ordinaria. Un ritratto di famiglia con le sue dinamiche in apparenza per nulla speciali: un padre (Matteo) non autoritario, una madre (Anna) che vorrebbe essere ferma e in realtà è troppo presa da se stessa per essere almeno coerente, una figlia adolescente (Eleonora) con una grande capacità di percepire il malessere intorno a sé e di comprenderne le radici, un figlio tredicenne (Stefano) in uno stato di ribellione permanente. Ma come, con una famiglia così poco oppressiva, con un padre che discute tutto alla pari, non costringe, non prevarica, bussa prima di entrare, vuole persuadere, indicare vie, fornire strumenti, a cosa vorrà mai ribellarsi questo ragazzino fortunato? Ma proprio alla mancanza di limiti, vien da dire. In una sfida costante, in un gioco al rialzo che diventa sempre più duro e pericoloso, Stefano cerca il limite che mai qualcuno gli ha indicato. Nessuna anticipazione sul finale, ovviamente, e buona lettura.
Rosalia Messina