Samila dorme ma ha il sonno agitato, si gira su di un fianco, poi sull’altro; le parole di sua madre le si sono infilate nei sogni tormentandola. La sua bella pelle marrone è imperlata di sudore gelato nonostante il caldo opprimente, strofina la fronte sul cuscino nella speranza di allontanare il momento del risveglio. Un bisogno doloroso e impellente la chiama e rovina i suoi piani per scacciare la realtà. Samila si siede al centro del letto come se si trovasse su di un’isola deserta al riparo da ogni decisione, sa che mettere i piedi sulle mattonelle brutte e grigie della sua camera da letto la costringerà a pensare, e forse ad agire. Nel momento in cui i suoi piedi sentono il freddo del pavimento, indifferente alla temperatura della provincia casertana, sente nella testa le parole che le donne della sua famiglia le rivolgono da giorni: pazza, egoista, disonorata. Scuote forte la testa per scacciare quelle voci e si sente prosciugata d’ogni energia all’inizio di una giornata che sa sarà lunghissima. Amir è fuori, forse in campagna, forse in cantiere, le bambine dormono ignare e lei sente il peso del mondo sulle spalle. Lui le ha dato carta bianca e, proprio per questo, lei è sola e in torto. Il dolore si fa insopportabile, Samila si avvia verso il bagno, si siede sulla tazza e trascorrono dieci minuti prima che riesca a fare la pipì tra atroci tormenti: non è andata male in fin dei conti, anche considerando che all’epoca la diedero per morta.
Aveva sei anni Samila e da qualche giorno c’era un’atmosfera di festa in casa e, non sapeva spiegare come, aveva capito che al centro di quella festa c’era proprio lei. Le tributavano attenzioni mai ricevute prima, suo padre le aveva fatto persino una carezza. Quel giorno fu vestita coi colori della gioia e sua madre le sussurrò una frase che mai più avrebbe dimenticato.
-Non devi urlare Samila, non devi piangere, ora sei una donna e non ci devi disonorare.
Fu allora che entrò quella donna, la daya. La madre e le zie afferrarono Samila per i quattro arti e la lanciarono sul tavolo tenendola ferma con tutte le forze, anche se Samila non aveva tentato in alcun modo di scappare, non ne avrebbe avuto motivo credeva. Un luccichio veloce tagliò l’aria, Samila vide il rasoio mentre sua madre e una zia le allargavano le gambe. Perché? Samila non capiva cosa stesse accadendo. Una mano gentile le tirò giù le mutandine provocandole una fortissima vergogna.
-Mamma, che fate?
-Shhh
Nessuno le spiegava nulla, la carne delle natiche schiacciata sul tavolo, i due polsi trattenuti con forza da una sorella della madre e da una del padre, gli sguardi delle nonne e delle altre donne accorse tutti posati su di lei. Le gambe in quella strana posizione le facevano male. Non aveva ancora paura Samila, dopotutto la mamma era con lei. Finalmente qualcuno parlò: era la daya .
-Samila, oggi è un grande giorno per te. Oggi conserveremo la tua purezza e il tuo candore perché tu possa portare gioia e onore alla tua famiglia e al tuo futuro marito.
Samila trasse un profondo sospiro di sollievo, non c’era da preoccuparsi allora, e proprio mentre pensava questo la donna che aveva parlato agì. Col rasoio rovente le asportò il clitoride, Il piccolo funghetto di cui mai avrebbe conosciuto il nome scientifico, le grandi labbra e quelle piccole, tutto senza anestesia, con dei gesti secchi di chi ha già fatto la stessa cosa mille volte. Samila era pietrificata dal dolore e urlava e piangeva, ma era come se non lo facesse visto che sua madre le aveva infilato uno straccio in bocca mentre la nonna le ripeteva all’orecchio una litania.
-Zitta, non ci disonorare. , Zitta, non ci disonorare…
Una sensazione di calore le si diffuse sotto la sagoma del corpo oramai inerme sul tavolo: era il sangue che piano le sporcava vesti e pelle nuda. La daya soddisfatta le ricucì tutto secondo tradizione, lasciandole un piccolo buchino per urinare e perché in futuro potesse defluire il sangue mestruale. Trasformata in un pacco per il futuro marito sarebbe stato lui a scartarla la prima notte di nozze. E fu così che andò, fu Amir a riaprirla. Il dolore che provò facendo l’amore con lui la prima volta avrebbe saputo spiegarlo solo con l’immagine del fuoco che arde, brucia, mangia e distrugge. Dopo i due parti era stata richiusa e quell’orribile atto dovuto era oramai un ricordo: Amir faceva sesso con altre donne e le andava bene purché non chiedesse a lei.
Il primo parto era stato difficile, ma c’erano stati più problemi la seconda volta in cui a cicatrici vecchie s’erano aggiunte cicatrici nuove: la testolina della sua secondogenita era riuscita a squarciarla un secondo prima di soffocare. Samila, mamma di nuovo, aveva pregato Allah di farla morire perché poi sarebbe arrivato quel giorno, questo giorno, oggi. Ma s’era ripresa dopo una lunga convalescenza. Zitta, senza portare disonore.
Erano state le anziane della famiglia, emigrate con lei e Amir otto anni prima, a dirle che era giunto il momento: Aziza e Faara avevano l’età giusta per il rito di passaggio. Che gran festa! Samila aveva cominciato da quel momento a immaginarselo. La daya sarebbe arrivata e avrebbe strappato la carne con una lama affilata, sangue e umori avrebbe impregnato le sue pezzuole, il suo letto, la sua bambina. Poi sarebbe toccato all’altra, la più piccola, che avrebbe assistito anche al primo rito, l’avrebbe guardata per chiederle aiuto, avrebbe fatto resistenza e lei avrebbe dovuto sussurrarle “zitta, non portare il disonore”. Alle sue figlie avrebbero strappato il funghetto in cima al sesso, e avrebbero portato via quelle alette molli che rendono le parti intime gentili e accoglienti. Le sue bambine sarebbero state uguali a lei: aride, doloranti, chiuse.
Il giorno prima Samila aveva parlato a sua madre.
-Non voglio farlo, maman, non farmelo fare.
Quella vecchia dalla pelle scura e i capelli bianchi, dalle grinze gentili del volto e la voce cantilenante s’era trasformata in un drago.
-Non lo dire, pazza, vuoi delle figlie puttane? Ti caccerò, via tu e quelle sgualdrine se non lo farai. Faranno sesso con tutti, si toccheranno, non le vorranno qui, le altre donne sputeranno al vostro passaggio. È questo che vuoi? È questo?
E Samila aveva calato la testa.
-No, maman.
E oggi è arrivato, le bambine sorridono nei lettini malconci regalati loro da una signora del mercato. Samila pensa a quello che sta per fare e le guarda in un misto di dolore e orgoglio, “sono donnine” pensa, “saranno pure” si dice. E poi ricorda la sepsi, ricorda le sue sedute in bagno, ricorda la prima notte di nozze. Scaccia i pensieri, si trucca, si veste e agghinda le figlie con abiti rossi e oro, mette loro due mutandine nuove e indugia sui sessi morbidi con delicatezza, dicendo addio all’infanzia delle sue figlie ora grandi, di sei e cinque anni. Bussano alla porta, Samila apre e comincia la carovana delle donne che giungono per festeggiare ed è un lampo, la daya tira fuori dalla sua borsa un rasoio: lo stesso luccichio d’allora. Tutte hanno vissuto la stessa esperienza e sorridono, bevono, cantano, ma lei no, Samila non ce la fa ad essere felice. Sente quella cantilena nella testa “zitta, non ci disonorare…” e urla. Urla Samila e non le importa niente del disonore, della madre, della daya. Urla.
-Andatevene, tutte.
-Sei pazza, sciagurata.
Le risponde sua madre. Ma Samila si fa seria, respira, e aggiunge solo:
-Andate!
-Siete sole Samila, tu e quelle impure, non avete più una famiglia.
E perciò non ci sono più oggi ma solo domani. Nessuno della famiglia le aiuterà, e mentre le bambine corrono come pazze per la casa senza capire bene cosa accade Samila ha paura, e pensa che forse ha sbagliato. La casa è vuota, così come la sua vita, Amir rientra da lavoro e si limita a dirle “me ne vado”, è una vita che voleva lasciarla. Che farà, come faranno a mangiare, a vivere, a sopravvivere. Ecco perché doveva permettere che prendessero quel minuscolo pezzetto di carne alle sue bimbe, in fondo che problema era, solo un po’ di carne. E invece lei è una testarda, e ora sono sole, nessuno del loro Paese vorrà sposare quelle figlie intere che chissà quanti uomini desidereranno in vita loro, quanti tradimenti e disonore porteranno a chi se le metterà vicine. Samila lo sa, aveva visto una così al suo Paese, anche lei non aveva permesso toccassero la sua bambina: è morta di fame lei e quella bimba impura. Ci ripensa Samila, non vuole la caccino, forse potrebbe richiamare la madre, chiedere perdono alla daya, lasciare che facciano quel che va fatto.
Sente la voce delle sue bimbe nel corridoio e le vede parlottare, ridere, spingersi. La figlia maggiore va in bagno, Samila la segue, ferma sulla soglia la osserva. La bambina si alza il vestitino della festa, si tira giù gli slip, si side sulla tazza e in un attimo fa la pipì sorridendo, alza il bel viso e chiede:
-Che succede, maman?
-Nulla amore, ora siamo sole, e la mamma è felice.