La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell’Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritmo.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.
Jorge Luis Borges (1899-1986) fu uno scrittore, poeta argentino, nato a Buenos Aires. Come afferma Claudio Magris, nelle sue poesie è rintracciabile “l’incanto di un attimo in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto”, da qui l’aggettivo “borgesiano” utilizzato oggi con accezione negativa, come sinonimo di storia fittizia o menzogna.
L’“Elogio dell’ombra” fa parte della raccolta “Poesie (1923-1979) ”, ed è la descrizione della visione del mondo di un anziano che, nel suo personale punto di vista, ci racconta ciò che vede e il motivo per cui lo vede con quegli occhi. Con un tono dimesso e a tratti solitario Borges, parlando in prima persona, cerca di superare da subito le convenzioni, definendo la vecchiaia come l’inizio della felicità. Tutto ciò che è stato fatto o detto ha condotto l’uomo al suo “segreto centro”, desiderio cui auspichiamo tutti sin dalla nascita. “L’animale è morto”, tutto ciò che ci rende frenetici, che ci dà motivo di correre, cercare e illuderci talvolta, se n’è andato, è diventato vano, l’unica cosa che rimane è lo spirito vitale dell’uomo, che diventa osservatore tranquillo. L’ombra è un’amica costantemente presente, ma non ancora vicina al buio, è l’unica presenza che ormai si sente vicina e per la quale si prova anche affetto e solidarietà. Borges descrive la sua città, i luoghi in cui è nato, come se li avesse divorati in giovinezza fino alle loro radici più profonde, come se li avesse vissuti in tutti i suoi angoli e vicoli bui.
“Questa penombra è lenta e non fa male; / scorre per un mite pendio / e assomiglia all’eternità”, tutto diventa silenzioso, in direzione di un buio non più tanto lontano, ma è comunque tutto tranquillo, come se si vivesse di una rassegnazione innocente ma inevitabile. Non esiste più nessuno tra le persone che un tempo si avevano vicine, non ci sono amici, non c’è famiglia, perché nulla è più interessante dell’ombra che ci accompagna. Non esiste neanche la paura, ma solo una melodia.
L’uomo va avanti in virtù della speranza di raggiungere il suo “segreto centro”, la sua musica e il suo vero io, ed è proprio tale speranza che rende la morte un sogno che non incute timore.