Cyber: un mondo post-apocalittico, ecocida, tecno-feticista e post-umano; punk: anti-eroi, persone comuni o esperti dell’informatica, che combattono contro potenti multinazionali e organizzazioni militari. Il Cyberpunk è una tendenza letteraria nata negli anni ’70 come nuovo sottogenere della fantascienza, ed è l’estremo tentativo di ricostruire una realtà totalmente industrializzata e governata dalle nano-macchine, nella quale si confondono replicanti e mondi computerizzati. Le storie prendono spunto dai generi più disparati: la letteratura di Burroughs, Ballard e Pynchon, la musica dei Velvet Underground, film cult come 1997: Fuga da New York, l’arte di Dalì e Kandinsky, con una scrittura che cerca di essere il più fedele possibile allo slang degli spacciatori di droga dei sobborghi americani, così da plasmare mondi surreali, iper-tecnologici e decadenti. Se Bruce Sterling è considerato il padre teorico di questo genere letterario, William Gibson ne è, a pieno diritto, l’indiscusso caposcuola.
Il tema della realtà virtuale è centrale nell’immaginario di Gibson, fin dai primi racconti, come in Frammenti di una rosa olografica, in cui un uomo passa la maggior parte del suo tempo in un mondo creato da cassette assai diffuse nella sua epoca. Tutta la fantascienza di Gibson si può definire come il tentativo di sintonizzarsi su mondi paralleli, ovvero tentare di vedere le mostruosità e la follia di questo mondo da una prospettiva diversa. Anche in Johnny Mnemonico, altro celebre racconto, il mondo è rude, crudo, popolato da cyborg e umani, in un futuro ultra-tecnologico e violentissimo, in cui la Yakuza, la mafia giapponese, è diventata una potente multinazionale attraverso i suoi traffici illeciti.
Il racconto della svolta è La notte che bruciammo Chrome, dove per la prima volta Gibson introduce il concetto di matrice, ovvero una rappresentazione di dati informatici nella quale si muovono gli operatori economici (avente presente il film Matrix?). L’estro di Gibson mette in discussione il mondo con immagini altamente complesse, suggestive e quasi profetiche: gli hacker, gli spettri vudù, realtà che vengono installate come se fossero degli anti-virus, l’incredibile ICE – un firewall che risponde alle intrusioni telematiche, il fantomatico Sprawl – il covo degli hacker e degli emarginati, e il consumo di strane droghe come la “dexe”, una specie di amfetamina.
L’opera Neuromante, pubblicata nel 1984, è il primo atto di una trilogia che verrà completata dai romanzi Giù nel cyberspazio del 1986, e Monna Lisa Cyberpunk del 1988.
Vero e proprio capolavoro dell’autore e summa dell’intero genere letterario, Neuromante sviluppa i temi dei racconti precedenti, calandoli in scenari di maggior respiro e descritti con uno stile davvero unico nell’intero panorama della fantascienza. In uno scenario abitato da ragazze assassine, individui fatti di carne e metallo, mostri virtuali e creature fantasma, Case, il protagonista della storia, è uno dei migliori hacker al mondo, ma un giorno viene messo fuori e decide di vendicarsi. In quest’opera il mondo informatico viene concepito ad imitazione del sistema nervoso, ove le sinapsi non sono altro che circuiti di un calcolatore elettronico, i neuroni delle unità di elaborazione dati. Ovvero, tutto ciò che ci circonda è l’hardware del sistema. Nell’immaginario di Gibson, Case rappresenta quello che viene definito un cowboy del cyberspazio, cioè un abile incursore in grado di entrare nel “sistema nervoso” dell’umanità, capace di sabotare ogni sistema elettronico del pianeta, entrare nella matrice e fare razzia d’informazioni top-secret e crediti bancari, mettendo sotto scacco il mercato globale.
Il romanzo è il grande tentativo dello scrittore di decostruire la realtà. La sensazione palese del lettore è quella di giungere a una sola conclusione: quanto siano controllabili e manipolabili dall’informatica le vite di ogni singolo individuo, mentre quella che comunemente definiamo “vita” non è altro che la proiezione di uno spazio cibernetico. In ultima istanza, una somma totale dei dati del sistema umano (W. Gibson).