Ripresa e sviluppo del canto precedente, il secondo del Purgatorio si apre ancora con il dato “cronologico”, così presente in tutta la cantica: sono circa le sei di mattina e il sole sorge all’orizzonte, mentre i poeti si trovano ancora sulla spiaggia.
Avvolti in questa atmosfera, Dante e Virgilio scorgono un punto luminoso in lontananza: sembra Marte visto dalla Terra. Questa luce, che avanza dall’orizzonte sul mare, si avvicina sempre di più, sempre di più; cominciano a scorgersi i primi colori, un rossastro e un bianco. Più precisamente, il bianco si intravede ai lati della figura e sotto. Ecco, il punto luminoso è sempre più vicino. L’oggetto misterioso si palesa chiaramente come un angelo (i bianchi sono i colori delle ali e della veste, mentre il rosso è del volto, secondo una tradizione iconografica che Dante desume dal modello bizantino): si tratta dell’Angelo nocchiero, che dalle foci del Tevere, dove si radunano tutte le anime di coloro che sono destinati al Purgatorio, le traghetta sulla spiaggia, trasportandole su una navicella veloce e leggera. Evidente qui il parallelismo e la contrapposizione con Caronte, il traghettatore infernale.
Virgilio, riconosciuto il messo celeste, invita il suo discepolo ad inginocchiarsi:
Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.
Ginocchia chine e mani congiunte: è questo l’atteggiamento che Dante deve assumere all’apparir dell’angelo. Le anime che trasporta cantano all’unisono un salmo, In exitu Israel de Aegypto, il canto che celebra la liberazione del popolo eletto dalla schiavitù egiziana. Metaforicamente, per loro è la liberazione dalle catene del peccato. Entra così in scena la musica; ma, come ora vedremo, non sarà il solo caso.
Le anime appena giunte, ignare del luogo, chiedono ai due poeti di indicar loro la via per salire al monte, ma Virgilio spiega che anch’essi sono nuovi del posto. E la folta schiera si accorge, a questo punto, che Dante è vivo. Straordinario il realismo di Dante nel descrivere la scena: le anime, riconosciuto nel Poeta un uomo vivo, maravigliando diventaro smorte; e lo guardano, gli occhi fissi su di lui, quasi dimenticando il loro compito, che è quello di scalare il monte per purificarsi dai peccati e, infine, godere della beatitudine eterna.
È a questo punto che dal folto gruppo sia fa avanti un’anima, la quale si avvicina a Dante per abbracciarlo. Il Poeta crea una delle celebrazioni più potenti della letteratura di tutti i tempi sul valore dell’amicizia, e dell’affetto disinteressato che da essa nasce. Tutta la scena è davvero permeata di immenso affetto: Dante, quasi d’istinto, ricambia il gesto dell’abbraccio, ma vanamente: non si possono abbracciare le anime.
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
L’anima amica è quella di Casella, musico toscano. Dante gli chiede come mai solo ora si trovi qui, nonostante sia morto tanto tempo prima, e Casella gli risponde che nessun torto è stato a lui fatto: non discute la volontà dell’Angelo nocchiero, che segue ovviamente quella divina. È adesso che il Poeta si rivolge all’amico con una dolce richiesta: chiede, affinchè il suo animo sia consolato, che Casella canti soavemente, come un tempo. E l’interlocutore risponde in toni straordinari, intonando Amor che ne la mente mi ragiona (celebre canzone di Dante, che il Poeta stesso commentò nel Convivio). Il canto – l’unico profano del Purgatorio – coinvolge tutti: Dante, Virgilio e l’intero gruppo di anime che affolla la spiaggia; tutti sembrano rapiti dalla voce e dall’interpretazione della canzone: l’autore della Commedia celebra un altro trionfo, quello della musica, capace di commuovere ed incantare, come solo poche arti sono in grado di fare.
La scena finale vede come protagonista Catone, il custode del regno protagonista del canto precedente: è lui a riportare ordine e a rimproverare la negligenza delle anime, invitandole a correre al monte per purificarsi. Si allontanano tutti, compreso Dante e Virgilio…