È un mondo triste Vittorio. Un mondo pervaso da una tristezza che mi terrorizza, ogni santo giorno. Voglio dirti che ti amo Vittorio, che avrei continuato ad amarti. Molte persone hanno odiato ed odiano tutt’ora questo mondo, lo fanno in modi diversi, e di questo non posso biasimarli. Tu l’hai fatto giustamente contro l’ingiustizia, con le tue parole contro l’omertà, il tuo corpo contro la vigliaccheria. La tua lotta per la dignità umana è stata prima di tutto un gesto d’amore, un amore che non tutti possono comprendere. Riconoscevi una guerra ingiusta, discriminante e razzista. Testimone di uno scempio culturale e religioso, barbaro e anacronistico, tra giudaismo e sionismo, partecipe coi nervi e alla fine anche con le viscere.
Alcuni bastardi israeliani, terroristi della corrente jihadista salafita, ti hanno ammazzato brutalmente nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, in un appartamento abbandonato a Gaza. L’autopsia confermò la morte per strangolamento con una corda. Imprigionato e torturato nelle galere di Tel Aviv, la città che porta con sé nessuna speranza. Collina della primavera decisero di chiamarla quelli che la fondarono vicino la città di Giaffa, nel lontano 1909. Un miraggio che splende di luce propria solo nel Libro di Ezechiele.
Detto con rammarico, ma anche con tutta franchezza, gli israeliani mi sembrano fatti di pezza. Anzi, tutto lo stato israeliano è fatto di pezza, un baldacchino mosso da un innominabile paese, nonostante sia il più conosciuto al mondo con la sua bandiera a stelle e strisce. Ma già che ci sono, lo nomino più che volentieri: il governo americano è una di quelle associazioni appartenenti alla lobby israeliana (la vecchia guardia ebreo-americana e le correnti laiche e cristiane antecedenti l’arrivo sionista e antigiudaico), cioè contribuisce, attraverso istituzioni legislative, mass-media, manipolazione dell’opinione pubblica e relazioni internazionali, a una politica estera volta alla costituzione di un nuovo stato ebraico, cioè alla nascita di uno Stato d’Israele. Detto in parole spicciole: se gli israeliani attaccano i palestinesi, ovvero sionisti contro giudei, gli americani non possono fare a meno di appoggiare i primi a discapito dei secondi. Coi loro 8,2 milioni di dollari al giorno per finanziare Israele, gli americani hanno contribuito, anch’essi e in buona parte, per tutti questi anni ad un ennesimo genocidio di massa e al più recente attacco israeliano a Gaza. I numeri dei primi sette giorni parlano chiaro, così come le operazioni aritmetiche: 134 palestinesi uccisi, di cui 30 bambini, contro 5 israeliani, tutti adulti, ma sono almeno 40.000 i cadaveri abbandonati a pochi km dalla Palestina. Non voglio speculare sulla strumentalizzazione videoludica di quello che è divenuto a tutti gli effetti un mattatoio umano, ma vedere su You Tube bambini con le gole e le caviglie tagliate fa raggelare l’intestino, mentre il mio pensiero va a te (si, te che leggi) mentre fai acquisti di Natale e credi che vada tutto liscio. La tua indifferenza può generare mostri.
Questo è il movente ideologico che sottende il tutto, poi ve ne è uno squisitamente strategico. Qualche giorno fa il New York Times ha sputato una delle tante verità arrivate, guarda caso, troppo tardi: i bombardamenti aereonavali su Gaza sono un particolare “test” per collaudare le nuove armi israeliane, in vista di un’imminente attacco all’Iran. La sanguinosa operazione, coordinata da mesi con gli Stati Uniti, ha spinto Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, a scatenare un alluvione di missili su un milione e mezzo di palestinesi. Secondo la stampa americana, è un sistema di nuova generazione costato circa 275 milioni di dollari e che fa salire a circa tre miliardi e mezzo di dollari l’anno il contributo americano al suo alleato mediorientale. Il blog di Richard Silverstein, definito il “Wikileaks d’Israele”, ha parlato di un piano per mettere fuori uso le basi elettriche iraniane con munizioni in fibra di carbonio (più sottili di un capello) e, successivamente, attaccare le basi missilistiche sotterranee della Repubblica Islamica con dei sottomarini israeliani che possono lanciare missili da almeno 300 km di distanza, nascosti come conigli nei meandri del Golfo Persico. Tutto questo, in sostanza, per annientare le capacità nucleari del regime islamico ed evitare una controffensiva iraniana sul territorio israeliano, per non parlare di cosa potrebbe succedere a livello globale, in termini di interventismo militare, se qualcun altro volesse trarre dei vantaggi dall’eventuale rialzo del prezzo del petrolio (zitti, non facciamo nomi: Russia). Ecco, un po’ come nell’antica Roma, tutti sugli spalti a guardare il cruento spettacolo e alla fine il gladiatore dedica la vittoria all’Imperatore. Insomma, i palestinesi c’entrano ben poco col terrorismo in Israele.
Di conseguenza le possibili equazioni sono 2: la prima è 2+2=5, fuori dalla tana del bian coniglio l’America è protagonista nella momentanea tregua tra Israele e Palestina; la seconda è 2+2=4, stai nella tana del bian coniglio, la tregua è un sedativo, gli americani dal ‘67 hanno sborsato per Israele più di 140 miliardi (stimati in euro) e il loro balletto con gli israeliani su migliaia di cadaveri continuerà ad oltranza, mentre a nessuno importa un cazzo se migliaia di bambini muoiono di fame ma si spendono milioni di dollari per un’esercitazione antimissilistica.
Ultimamente gli Stati Uniti hanno bloccato tutte le proposte diplomatiche che i maggiori rappresentanti dei Paesi arabi hanno esposto in questi giorni, tra cui una dichiarazione volta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dedicata alla crisi nella Striscia di Gaza. Il perché è semplice da dedurre.
A Tel Aviv, in Israele, gli arabi fanno la differenza, occupano il 20% della popolazione israeliana, quindi è una popolazione autoctona. Quando sei arabo, a Tel Aviv, meglio se ti nascondi. A dir la verità gli arabi israeliani non hanno tempo nemmeno per quello. Segregati o uccisi in fortezze di cemento, i loro ghetti sono simili a quelli degli schiavi negri durante l’apartheid sudafricano. Stipati come topi in scuole diverse, in ospedali diversi con un’assistenza sanitaria diversa, gli arabi non hanno diritto di proprietà, non possono sposarsi liberamente, scegliere liberamente, né amare liberamente. E se Nelson Mandela denuncia, da tanti anni oramai, l’apartheid israelita (uno che era uno schiavo negro ed è diventato prima uomo nero libero, poi ambasciatore della libertà di chi nero non è mai stato) vorrà pur dire qualcosa. Se davvero la storia è un circolo vizioso, nel quale gli eventi non fanno altro che ripetersi, allora non dovremmo sorprenderci se lo stesso Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman dovesse un giorno ordinare di sganciare una bomba atomica sulla striscia di Gaza e ripetere quello che fecero gli Americani sulla pelle dei Giapponesi. Cosa che il ministro disse tempo addietro e che qualche giorno fa è stata ripetuta, probabilmente effetto di un collettivo disturbo compulsivo, dal figlio dell’ex premier israeliano Ariel Sharon. La pace è guerra con spreco di licenze, la guerra è pace con spreco di ordinanze cantavano i CCCP.
Di recente ho visto una foto che ti ritraeva con gli occhi bendati ed un rivolo di sangue coagulato e secco sotto il naso, mentre un Caino jihadista agitava la tua testa come una spugna per il culo. Vittorio, il tuo paese, se mi permetti di definirlo ancora in questi termini, ha massacrato la tua memoria: incompreso (Saviano e Travaglio), querelato (Grazia Graziadei, giornalista del TG1), diffamato, abbandonato come un randagio e alla fine dimenticato.
Ma non adesso.