Due corde di luce, che quasi sembrano di lana, si fanno strada tra i canali di una persiana ancora chiusa, per poi morire sul cuscino, senza rumore, accanto a me.
Non mi alzerò, stavolta no, dico sul serio.
Non c’è ragione, non c’è forza ad istigarmi. Ho paura della pioggia, dell’acqua che scende, del giorno che scorre. Le facce da vedere che non conoscerò, le cose da non fare perché niente, un emerito nulla, si può acquistare senza la potenza, la volontà, la fiamma di occhi nuovi.
E allora il dolore resta l’unica scia, l’unico mezzo per gonfiarmi il petto e urlare al di là del dolomitico ammasso di rifiuti che mi porto dentro. Il dolore come strumento di salvezza, convinzione assoluta di essere meglio.
Non mi alzerò, dico sul serio. Sguazzerò nel pedante pensiero di un vicinato che spero che affoghi. La prima sigaretta del mattino: salvo solo lei. E poi anche i sogni. Ma se non…
Le due corde di luce di lana restano lì, a farmi sentire una persona sbagliata. Il sole sorride da dietro, m’illude senza voce, bastardo. Prendimi e portami lontano.
Ma io già so che fuori piove, anche se la finestra resta chiusa. Ancora.