Leggendo On The Road, di Jack Kerouac, ho realizzato più lucidamente quanto alcuni miti, alcuni luoghi comuni (mi sia concesso il termine), possano condizionare le aspettative di qualcuno. Immaginarsi a bordo di una Cadillac per percorrere a centottanta chilometri orari la strada, quella che ti porta verso il West, in compagnia di due folli squattrinati alla ricerca di non si sa bene cosa, è, bisogna ammetterlo, un piccolo godimento personale a cui ci si abbandona in tempi morti (e non solo).
Eppure, riflettendoci, Kerouac ha soltanto canalizzato vecchi sogni abbandonati nel cassetto, perché in fondo è dell’America che si sta parlando, e lo si fa da sempre.
Il mito dell’America fa parte dell’immaginario collettivo da quando se ne ha memoria.
Si pensi agli anni pre e post- unità nazionale. In Italia, la fascia ‘colta’ della popolazione tende a ricamarci aspettative grazie alla lettura di Twain, Hemingway, Capote. La parte ‘povera’ è costretta a riversarci fantasie, speranze, aspettative in un futuro migliore di quello che il proprio Paese è stato in grado di regalargli. I movimenti migratori sono l’espressione più evidente della ricerca di cambiamento: l’America è la terra promessa, all’America si rivolgono le preghiere di povere anime che lì vorrebbero ‘sbarcare il lunario’.
L’America avrebbe in effetti cambiato la vita di molti individui, ma non necessariamente come ci si aspetterebbe. Il viaggio nel Nuovo Continente porta con sé anche delusioni, smitizzazioni, nuove prese di coscienza.
Goffredo Parise, scrittore e giornalista italiano, intraprende il suo primo viaggio in America nel 1961. Parte assieme al compagno e regista Gian Luigi Polidoro, dietro commissione del produttore Dino De Laurentiis, e percorre avventurosamente coast to coast in automobile gli USA, con l’obiettivo di realizzare un progetto che non avrà poi vita.
Il viaggio si rivela una vera e propria scoperta, la scoperta di un’antitesi sulla quale hanno scritto parecchi: esiste una distanza enorme tra la folla caotica e la solitudine alienante del singolo, tra le luci sfavillanti dei grandi centri e la desolazione delle zone più periferiche.
L’America è artificio, è ostentazione, ma è anche in grado di emozionare lo scrittore proprio per la violenza fatta alla natura, “come se si trattasse di scendere agli inferi”.
New York, ad esempio, gli provoca una “nausea profonda”. In una lettera datata 22 marzo 1861, Parise scrive:
«Città di matti, dà la nausea come se si fosse ubriachi, di alcool e di stanchezza. Si cammina sepolti tra i grattacieli e fa male alzare il capo. Rombo continuo, rombo dei rombi. Peccato che io non sappia l’ inglese, sono persuaso che non ho niente da perdere perché, da quanto intuisco, i discorsi sono di una banalità e di un nulla assoluto. Ma che decadenza questi americani.»
E prosegue:
«Ti ricordi Grand-Hotel? … Solo questo nome faceva pensare a tutto il mondo del cinema americano che ora langue nel parco divertimenti che è Brodway. Brodway… che delusione! Solo i grattacieli e le fabbriche nere di carbone e di polvere sono le cose vere. Tutto il resto è provincialismo e follia. »
E’ proprio a New York che lo scrittore torna per un lungo soggiorno che gli fornisce lo spunto per otto articoli, pubblicati nel 1976 sulle colonne del Corriere della Sera, poi riuniti nel volumetto dal titolo, appunto, New York.
Sono, questi, gli anni del miracolo economico, e Parise sta assistendo alla scomparsa del modo di vivere italiano, che lascia il posto al modo di vivere americano. E’ il dominio della nuova cultura del materialismo, in cui è importante solo ciò che è utile e consumabile.
Adesso è il mito del denaro a predominare, nell’immaginario di tutti.
Il suo reportage a New York è una riflessione a posteriori, serrata e argomentata. E così scrive:
«E’ New York o, per essere più precisi, le banche, i centri commerciali e culturali di New York che smistano economia, commercio e cultura degli Stati negli Stati e ogni giorno di più nelle province d’Occidente tra cui sta, quale possibile e ideale tabula rasa politica e commerciale, il nostro paese, l’Italia.»