Opera esemplare, destinata ad esercitare un grande influsso sulla poesia latina e – indirettamente – sulla letteratura europea, gli Aitia nascono dal grande entusiasmo, dalla grande curiosità e dallo straordinario spirito erudito di Callimaco. Ben presto diviene paradigma di una nuova visione della letteratura.
Nato a Cirene – ricca colonia greca sulla costa della Libia – intorno al 315-310 a. C. e morto verosimilmente intorno al 240, Callimaco è stato poeta elegiaco, erudito, maestro di scuola e filologo. Il suo nome è legato alla città di Alessandria, fiorente città sede della grande Biblioteca presso cui il nostro letterato – personaggio di spicco alla corte dei Tolomei – ha svolto la sua attività soprattutto di erudito.
Aitia è l’opera di certo più prestigiosa di Callimaco. Suddivisa in quattro libri e formata da componimenti in metro elegiaco, nasce da uno spunto di grande fascino del suo autore: di fatto un procedimento erudito che consiste nel narrare l’origine, la causa – è questo il significato letterale del greco aition di un rito, una festa, una celebrazione, un toponimo. Lo strumento attraverso il quale si spiegano queste origini? Il mito.
È proprio la grande varietà di episodi mitici, spesso poco conosciuti, la chiave di volta di questo processo eziologico che avrebbe goduto di una grande fortuna presso i poeti latini (Virgilio, Ovidio e Properzio su tutti. L’ultimo si proclamò addirittura il “Callimaco romano”). Nel proemio, aggiunto ad opera ultimata, Callimaco enuncia una vera e propria dichiarazione di poetica, rifiutando la tradizione del lungo e macchinoso epos a vantaggio del componimento breve, leggero. E Telchini (antichi demoni maligni sterminati da Apollo) sono chiamati i suoi avversari in campo letterario, i difensori del grande poema epico che vedevano in Apollonio Rodio – autore delle Argonautiche – il loro leader. Nei quatto libri si snodano poi le vicende mitologiche di una lunga serie di personaggi: Lino e Corebo, Aiace, Busiride e Falaride, Frigio e Pieria. Se i più probabilmente non dicono nulla, essi acquistano tuttavia spessore e catturano l’interesse e la curiosità del lettore proprio in virtù del loro ruolo di causa, origine di qualcosa.
Tra gli episodi hanno goduto di particolare fortuna quelli di Acontio e Cidippe da una parte e la Chioma di Berenice dall’altra.
Il primo narra dell’astuto espediente escogitato, su consiglio di Eros stesso, dal giovane Acontio, che per legare a sè Cidippe – di cui è innamorato – fa sì che la fanciulla legga quasi per caso (su una mela!) il giuramento che la impegna a sposarlo. Promessa sposa dal padre ad altro uomo, Cidippe cade puntualmente malata prima di ogni tentativo di nozze, fino al matrimonio con Acontio con il consesno finale del genitore.
Nella Chioma di Berenice, invece, protagonista è una ciocca di capelli della regina e protettrice di Callimaco. Tagliata questa ciocca, Berenice la offre in voto agli dèi per ottenere il ritorno dalla guerra del marito: il voto è esaudito, ma la chioma scompare e viene “ritrovata” dall’astronomo Conone in cielo, sotto forma di una costellazione tutt’oggi chiamata “Chiome di Berenice”.