Il padre di lei è un pachiderma dagli occhi cerulei, orologio d’oro ben visibile sul polsino e anello al mignolo. Si assicura che il cibo sia troppo, deve avanzare per magnificare la sua opulenza; il sospetto che anche il suo enorme ventre voglia certificare la medesima cosa fa sorridere Maria Rosaria. Il pachiderma, però, li tratta con rispetto, lei e gli altri camerieri: è una cosa rara, il più delle volte i clienti credono di averli acquistati col menu ed anche a poco prezzo.
Il pranzo di nozze della figlia dell’elefante ha inizio. Tutto deve procedere con lentezza, i piatti devono arrivare a tavola nel modo più scaglionato possibile; insomma, bisogna tirare tardi. La madre di lei, strizzata in un vestito a sirena di due taglie troppo piccolo, non fa che ripeterlo a tutti.
Comincia il circo. I balli di gruppo la disturbano, Maria Rosaria non li ha mai potuti soffrire. Così con la testa si assenta, viaggia lontano, sogna un’altra vita, fino a quando le urla del direttore di sala non la riportano a terra con un tonfo: c’è la zuppa di cozze da servire, non c’è tempo per scappare.
Il cantante neomelodico monta il suo palchetto, e le invitate – vestite il meno possibile, con una proporzione inversa tra tessuto utilizzato e grasso corporeo – agitano in aria i loro tovaglioli. Le animatrici inseguono esauste bambini mostruosi, che attentano ogni volta che gli è possibile al nitore della star: la sposa molto incinta. Avrà forse vent’anni, ma padroneggia la scena come una donna di mondo.
Parte la dedica dello sposo alla sposa, il video dei due novelli coniugi a confronto, le loro foto da bambini. A Maria Rosaria fanno male i piedi e la schiena, ma quello che la fa impazzire è un rivolo di sangue dell’entrecôte, che le si è insinuato sotto la camicia scivolando dal vassoio fino al suo gomito. Non ha tempo per andare al bagno a ripulirsi, sta per arrivare la torta.
Non si illude Maria Rosaria, dopo i dolci c’è la sorpresa del cuoco per gli sposi: pasta e fagioli per tutti. È stremata, oramai li odia tutti, immagina di ucciderli a mani nude, che le si consegnino uno ad uno, perché lei possa strangolarli lentamente. Quel pranzo maledetto dura da otto ore, ma quelli continuano, ballano, bevono, festeggiano. Non hanno rinunciato neppure al calcio, c’è un anticipo di campionato e il maxischermo in sala annuncia che la festa durerà almeno altri novanta minuti, più quindici d’intervallo.
Se potesse sfogare la sua rabbia, Maria Rosaria ucciderebbe per primo il fotografo che immortala parenti multiformi in pose di ogni tipo. Lei sa che anche lui non si diverte, ma guadagna molto più di lei; perciò vorrebbe ammazzarlo lo stesso.
Finalmente compaiono le bomboniere, e un superbo cane di ceramica riceve adozione dai testimoni, entusiasti della sciccheria. Maria Rosaria deve tenere duro, ci sono solo milioni di posate e bicchieri da sistemare; ma poco importa, purché se ne vadano tutti e lei, oramai invisibile ai loro occhi, possa togliere il gilet “verde cameriera” e sbottonarsi il colletto della camicia.
Adesso li detesta sul serio, vuole che spariscano, esplodano, si smaterializzino. Invece sono i fuochi nell’aria a fare rumore, senza portare con sé colori, solo orrendi boati.
Finalmente è tutto finito, nel piccolo studiolo il proprietario e il pachiderma regolano i conti, mentre la sposina raccoglie le buste, pronta a volare verso la sua prima notte da donna onesta.
Allora succede.
Il pachiderma all’improvviso si volta e guarda sua figlia, una bambina che aspetta un bambino. Gli occhi gli si riempiono di lacrime, ma ovviamente non piangerà. Maria Rosaria li scorge, vorrebbe piangere anche lei, invece formula un solo pensiero:
“A volte la bellezza si nasconde in luoghi inattesi. Inattesi, sì, come gli occhi di un pachiderma cafone. Per fortuna domani è riposo”