Una vita inutile, la mia, finchè c’è stata. In fondo l’incidente è servito. La solita storia: esci di casa come se fosse un giorno uguale agli altri, dello stesso colore grigio, le stesse tristezze nello stomaco, la stessa noia di giorni immobili, di un lavoro traballante, di un amore che ha visto giorni migliori. Tutto che gira a memoria perché diversamente non potrebbe andare. Neanche volendo. Un cliente da raggiungere, per la solita vendita, raccontando meraviglie di posti mai visti come se la vita fosse una vacanza eterna, colorata e falsamente inondata di sole. E invece un camion che non vuole farsi superare, il viadotto visto da vicino, l’auto che all’improvviso assomiglia a un cavallo da rodeo e non più alla vecchia, docile Punto. Sta di fatto che impatta, e rotoliamo, insieme, lamiere e carne, tra cespugli e polvere. La sofferenza e la coscienza non durano molto. Devono avermi trovato il tesserino. Da vivo non ero così generoso, non riuscivo a prestare neanche la macchina a mia moglie, e neppure una cravatta a mio figlio. Mi chiedo tutta quella tenacia verso le cose dove sia andata a finire. Forse in fondo alla scarpata sulla Salerno – Reggio, vicino Bagnara. Sognando di sorridere, ho dato via il cuore. Almeno funzionava bene, i reni no, quelli erano andati. Ce l’ha un muratore romeno, che ora potrà lavorare nei cantieri di Milano più sereno. E speriamo che lo mettano in regola, perché lì non c’è trapianto che tenga. Non la vedrò, l’A3 finita, non io, ma forse la ragazzina che si è presa i miei occhi potrà tornare a studiare e anche guardare il mare e i riflessi che fa verso lo Stretto. Perché abita a Messina e a lei quelli di Reggio sono simpatici, dice che hanno cuore.