-Che bel bocconcino sei…
Lo sfiorò con lo sguardo un secondo, giusto il tempo di vedergli la lingua vibrare tra le labbra in modo disgustoso, poi tirò dritto.
Immaginò gli occhi dell’uomo fissi sul suo fondoschiena, e la cosa la innervosì parecchio.
Detestava quel genere di complimenti, non sopportava l’idea che un uomo, che per età avrebbe potuto essere suo padre, magari sposato e con figli, si prendesse la libertà di fare certi apprezzamenti sulla sua persona.
Era indubbiamente una ragazza molto carina, ma il suo abbigliamento non aveva nulla di volgare o provocante: indossava un jeans elasticizzato, una maglietta nera e scarpe di tela grigie. Le interessava solo la comodità.
Quello -pensò- era il tipico soggetto perverso al quale facevano gola le ragazzine inesperte, ingenue da far piangere e tremare col solo tocco delle dita o la parola giusta e raccapricciante sussurrata all’orecchio: ma con lei si sbagliava.
Laila proseguì a passo veloce, con la netta sensazione di essere seguita. Giunta ad un incrocio aspettò che un autobus le attraversasse la strada, e il riflesso sui vetri le rivelò che non si sbagliava, l’uomo era dieci passi, forse meno, dietro di lei.
Erano quasi le tre del pomeriggio e le strade assolate erano semideserte: il caldo a quell’ora costringeva a stare in casa. Ma Laila aveva un appuntamento e non poteva mancare. Era davvero troppo il bisogno che aveva di parlare di quanto le era passato per la testa da una settimana a quella parte; di mostrare a qualcuno i segni dei suoi tagli, e di raccontare cosa li aveva motivati e come si era sentita prima e dopo aver sentito il bruciore sulla pelle e aver visto il sangue sgorgare dalle ferite.
Frugò nella borsa con la mano destra e strinse tra le dita il taglierino che portava sempre con sé. Il taglio sul palmo della mano non smetteva di bruciarle, nonostante l’avesse ben disinfettato e medicato prima di uscire di casa. Il cerotto trasudava e di lì a poco avrebbe potuto staccarsi.
-Ehi, bambolina, dove te ne vai tutta sola…? Ti faccio compagnia? Ho qualcosa qui che potrebbe piacerti.
-Oh sì? Anch’io… -sussurrò lei.
Attraversò la strada e svoltò a destra. Lo studio della dottoressa Livrea era in fondo alla strada: una via stretta, qualche negozietto, tutti ancora chiusi a quell’ora, e un paio di bar.
Era in largo anticipo, ma decise di allungare ancora di più il passo. In lontananza una signora di mezza età avanzava con un labrador al guinzaglio. Quando la incrociò, la donna sorrise.
-Buongiorno Paolo, non sapevo fosse rientrato in città.- La donna conosceva quell’uomo! Li sentì chiacchierare. -E’ un po’ di giorni che non vedo sua moglie, come sta? …venga, venga, le offro un caffè se non ha fretta.
Si voltò e li vide entrare nel bar che aveva appena superato. Lui le lanciò un’occhiata che sembrava prometterle qualcosa.
A cento metri dall’istituto di valutazione neuropsichiatrica, si guardò attorno con circospezione. Nessuno. Giunse al portone e non dovette neppure citofonare, era aperto. Pigiò il tasto per chiamare l’ascensore e aspettò. S’incantò sui numeri luminosi che indicavano: 6°….5°….4° piano… dopo qualche secondo le porte si aprirono, con lo sguardo basso vi entrò senza rendersi conto che non era sola. Il corpo sudato dell’uomo la investì spingendola e premendola contro lo specchio freddo e liscio. Le porte dell’ascensore si chiusero. Le stava addosso e le alitava sul collo.
-Ti ho beccata, pollastrella, adesso non mi scappi. Non uscirai di qui senza avermi fatto prima un bel servizio!
Lei cercò di divincolarsi mentre lui premeva il tasto di stop.
Ebbe la prontezza di infilare la mano nella borsa e afferrare il taglierino. Lo aprì di scatto e con un gesto veloce e secco, gli affondò la lama sul fianco sinistro. L’uomo emise un urlo sordo e si accasciò in terra come un sacco di patate. Anche lei si chinò. Vide lo sguardo quasi vitreo dei suoi occhi, aveva un’espressione odiosa e penosa allo stesso tempo, ma non si lasciò impietosire, estrasse il taglierino dal fianco e con rapidità glielo infilzò alla base del collo. Il sangue sgorgò a fiotti. Si sorprese a provare piacere a quella visione, ancor più di quando a sgorgare era il suo di sangue. Un uomo le stava morendo sotto gli occhi e per mano sua, ma lei non provava pena né rimorso.
Si guardò allo specchio e quasi le venne da sorridere. Era riuscita a difendersi. Rimise il taglierino in borsa e si ripulì rapidamente le mani con delle salviettine umidificate. Premette il tasto dell’ottavo piano, dove sapeva esserci soltanto l’ingresso ai solai. Scavalcò il corpo inerme e lo trascinò appena fuori dall’abitacolo dell’ascensore in modo da bloccarne le porte, e scese le scale; lentamente prima, più rapidamente poi. Le macchie di sangue sui suoi jeans scuri non erano così evidenti.
Uscì dal portone, risalì la stradina. Incrociò un paio di ragazzi. Nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che dietro quell’esile ragazza dai capelli rossi si nascondesse un’assassina. Mentre proseguiva la strada verso casa, i suoi passi così come i suoi pensieri ritornarono al punto esatto in cui la lingua di quell’uomo aveva vibrato disgustosamente e rabbrividì. Si convinse di aver fatto un favore al mondo, quell’individuo non meritava di vivere.
-Studio della dottoressa Livrea, buongiorno!
-Buongiorno, Livia, sono Laila… Mi scusi tanto con la dottoressa, ma dopo pranzo mi sono addormentata e ormai è tardi per l’appuntamento… posso fissarne un’altro?
– Non preoccuparti, Laila, oggi la dottoressa non ti avrebbe ricevuta comunque. E mi toccherà disdire tutti i suoi appuntamenti da oggi ai prossimi giorni.
– E perché?
-Suo marito è stato brutalmente ucciso qui nel palazzo, oggi pomeriggio.