L’Idiota di Dostoevskij è uno di quei rari casi in cui l’ambizione e la portata artistica superano di gran lunga la qualità letteraria. Proprio come il suo indimenticabile protagonista, l’opera è riuscita a rimanere intatta e a brillare di luce propria grazie a un certo grado di affettività, cioè quella comunicazione privilegiata con i lettori che solo un grande classico riesce a creare.
Forse il più impenetrabile e complesso personaggio ideato dallo scrittore russo, Myskin sembra una persona goffa e buffa, ma la forza affettiva che emana, lo strano potere che irradia apre squarci nell’attenzione degli altri personaggi che lo circondano, legandoli a sé in un modo del tutto speciale, impercettibile ma inesorabile, incancellabile, e che nessuno di loro riuscirà a definire.
L’idea alla base del romanzo sta tutta nel tentare di concepire un personaggio straordinario, un ibrido di umano e divino, l’estrema descrizione, a detta di Dostoevskij, di un uomo pienamente splendido. Quindi non si ha più a che fare con il classico espediente narrativo, ma la trasposizione in veste del tutto mitologica di un ideale, quello della bellezza. E l’incarnazione di tale ideale sarà appunto Myskin.
Ma Myskin non è solo puro ma è anche un essere malato, tisico, a tratti sembra un debole, non cerca nulla, ed in nessuno modo il mondo riesce a far presa su di lui, come se lo sfiorasse. L’unica virtù che lo lega al mondo è l’Amore, ma al contempo è un freno cui non riesce a resistergli: gli impedisce qualsiasi scelta, gli impedisce di fare qualsiasi cosa per sé stesso o per gli altri nonostante la massiccia dose – del tutto nevrotica – di bontà che ha da vendere, e alla fine non fa nulla a nessuno, assolutamente nulla fuorché irradiare quell’insolito e ambiguo sentimento d’Amore, parallelo ed estraneo al mondo, lasciando che tutto e tutti lo travalichino fino a renderlo vuoto, mente tutto ciò che sembra suo muore inevitabilmente con lui. Ma dietro il suo inafferrabile impulso d’Amore vi è molto di più. Myskin è l’antimateria romanzesca per eccellenza, è la più totale negazione dell’evoluzione narrativa, diventando al cospetto degli innumerevoli personaggi dell’opera il simbolo di un’innocenza tanto evanescente quanto sublime e per certi versi rivelatrice: Rogozin che tenta di pugnalarlo si ferma e retrocede; Aglaja, che desidera ardentemente di sposarlo, sembra frustrarsi e vede la sua passione svanire nel nulla; Ippolit, che disputa con Myskin senza ottenere buoni risultati, tenterà di suicidarsi fallendo nel modo più grossolano possibile. E quanto alla passionale e meravigliosa Nastas’ja Filippovna, forte, impetuosa, che riuscirà a conquistare Myskin desiderandolo morbosamente per sé sola, non viene raccontato assolutamente nulla di ciò che ella visse con lui, della loro relazione, della loro passione. La sua unione con Myskin è puro silenzio. La materia di Nastas’ja cozzerà con l’antimateria di Myskin.
E’ come se in Myskin agisse una sorprendente forza di conversione, come se avesse la forza e il potere di mutare le cose, e donare ad esse una finalità morale. Dinnanzi a lui tutto muta direzione, senso e valore. Gli manca solo la consapevolezza di tale capacità, ed ecco perché a stento riesce a dare un nuovo senso non solo a sé stesso ma anche a coloro che lo incontrano e che dinnanzi a lui si schiudono. Nell’ottica dello scrittore russo Myskin sembra avere tutte quelle caratteristiche che lo accomunano alla figura di Cristo all’interno di un discorso religioso di matrice cristiana. In Dostoevskij la figura di Cristo ha una fortissima caratura mitologica, cioè ha una considerevole vitalità esistenziale, quindi un’importanza molto più grande di qualunque dottrina ortodossa o idolatria feticistica.
Il Cristo di Dostoevskij è l’unico in grado di seguire il comandamento “ama l’uomo come te stesso”. Nessuno ne è capace perché l’io ci ostacola. Cristo poteva perché in Lui vi si trova quell’ideale eterno verso cui tende ogni essere umano. Col Cristianesimo quell’ideale si è fatto uomo incarnato, in cui l’io annienta sé stesso e si consegna completamente a tutto il genere umano. Questo è il monito del Cristo, e questa è la meta ultima dell’uomo: prodigarsi e consegnarsi al mondo. Ma è davvero possibile raggiungere tale meta da parte dell’uomo, o è un’assurda oltre che evidente chimera?
Cristo rappresenta l’ideale della bellezza umana, un modello irraggiungibile che non potrà più ripetersi, nemmeno in futuro. In Myskin vediamo un tremendo inganno: il cercare di compiere da parte sua, magari inconsapevolmente, l’ideale del Cristo è un percorso spirituale votato alla follia. In questo estremo tentativo, Myskin diventa un mito tragico, e quindi un uomo che scappa dalle sue colpe e va paradossalmente verso il suo castigo.
Myskin è un frammento della versione più povera di Cristo e del suo grande messaggio d’Amore, di una religione istituita e dell’ipocrisia degli uomini, caricatura folle, goffa e grottesca non solo della Russia di allora ma dell’Umanità intera. Ecco perché Myskin è un mythos, ed ecco perché abbiamo ancora bisogno di lui.