La fontana con il torello buttava fuori acqua come ogni giorno. Maria Montano e suo figlio litigavano come sempre, era già passato il carrello dei giornali. Gina Floris vedova Macaluso dalla sua ringhiera di via della Consolata vedeva il mondo.
Di Macaluso Luigi autotrasportatore, le era rimasto poco: aveva dato via quasi tutti i vestiti, tranne il doppiopetto blu delle domeniche insieme a Torino. Restavano le vecchie foto: I piccioni a Venezia, da sua sorella a Settimo Torinese, un bagno nel canale a Turbigo, la cascina di Rivoli.
Spesso lo sguardo le cadeva sulla mano: dell’anello di fidanzamento restava solo un segno chiaro sulla pelle. Era stato sei mesi fa. Sera tardi, via Garibaldi. Una cena con le amiche, l’unica uscita del mese. Da una laterale erano sbucati in due sul motorino. Quello seduto dietro era alto, forte. L’altro più magro, con gli occhiali scuri e un po’ di barba. Il ragazzo alto era sceso cercando di strapparle la borsa. Non ci era riuscito, allora le aveva tirato un ceffone tremendo. Le aveva urlato con degli occhi umidi, giallastri: “Dammi quello che hai, i soldi… E poi l’anello, sì, dammi l’anello!” Gina ci aveva provato, a resistergli. Ma poi quello lì le aveva puntato il coltello a serramanico, chiamandola vecchia di merda, -lei che ancora faceva le notti in ospedale alle Molinette-, e puttana, -anche se l’aveva fatto solo con Luigi, dopo sposati!- Ma si sa, quello lì aveva un coltello…
Gina non se sarebbe mai dimenticate, le lacrime. E non avrebbe scordato loro due, che sghignazzavano mentre lei piangeva ferita. Quello che guidava il motorino aspettò il complice per ripartire. Poi, insultandola ancora e ridendo erano schizzati via.
Gina quella sera non sapeva se le facesse più male la faccia o il cuore. Decide di chiudere le imposte. Quella mattina alla ringhiera non davano niente di interessante. E decise che per un po’ avrebbe chiuso le persiane e gli occhi sul mondo.